Chiarezza sul MES, senza i paraocchi di parte

Chiarezza sul MES, la storia da Tre-Monti a Conte e perché questo fondo per l’Italia resta inutile.  Il Fondo salva-stati europeo risale davvero all’ultimo governo Berlusconi? Ed è utile all’Italia per fronteggiare la potente crisi economica esplosa a causa del Coronavirus? La Lega e Giorgia Meloni hanno votato contro.
Redazione 

Riportiamo un interessante articolo di Giuseppe Timpone che fa chiarezza sul MES.

Il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) lacera la politica italiana. Giovedì scorso, il premier Giuseppe Conte ha sferrato un duro attacco contro Matteo Salvini e Giorgia Meloni, accusandoli di mentire sulle origini e la stessa natura del Fondo salva-stati, gettando benzina sul fuoco della furente polemica tra l’opinione pubblica. Cerchiamo di fare chiarezza senza i paraocchi di parte su cosa sia questo fondo e quando sia nato. Era l’Ecofin del 9-10 maggio del 2010, quando per la prima volta ne venne discussa l’istituzione. In quella sede, si cercava di creare strumenti atti a mettere in sicurezza i paesi dell’Eurozona che rischiavano di saltare per l’esplosione della crisi dei debiti sovrani, come iniziava ad emergere proprio in quelle settimane a proposito della Grecia.

L’Italia a quel vertice dei ministri delle Finanze dell’Unione Europea fu rappresentata dall’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Siamo nell’ultima fase del governo Berlusconi. Il Consiglio europeo del 25 marzo 2011, al quale partecipa il premier Silvio Berlusconi, delibera la nascita del MES, comunicata ufficialmente solo nell’agosto successivo. Siamo ancora sotto l’ultimo governo di centro-destra, caduto nel novembre successivo per lasciare il posto a un esecutivo tecnico guidato dal Prof Mario Monti, al quale aderirono l’ex PDL, UDC e PD. La crisi dello spread impazzava e l’Italia fu sull’orlo di uscire dall’euro.

I capi di stato e di governo dell’Eurozona ratificano l’istituzione del MES il 2 febbraio 2012 e il Parlamento italiano recepisce i contenuti di quella riunione il 12 luglio seguente con la votazione al Senato e il 19 luglio con una alla Camera.

Votano a favore tutti i parlamentari del PD, l’UDC e la stragrande maggioranza di quelli del PDL. Contro si schierano la Lega e l’onorevole Guido Crosetto, ancora esponente berlusconiano e che di lì a poco avrebbe fondato Fratelli d’Italia insieme a Giorgia Meloni, la quale decise di non partecipare al voto per rimarcare la propria opposizione interna al PDL.

Il difficile connubio tra MES ed Eurobond

Queste le date, ma la politica è qualcosa di più complesso. Tremonti riferisce, ad esempio, che quando acconsentì alla nascita del MES ebbe anche modo di avviare con i colleghi dell’unione monetaria i colloqui sugli Eurobond, i titoli del debito comune, che nelle sue intenzioni avrebbero salvato l’area da una frammentazione finanziaria potenzialmente devastante. Sappiamo anche che il tedesco Wolfgang Schaeuble si mostrò subito contrario, ma in quell’occasione la Germania non si chiuse del tutto a riccio, tanto che rimase scolpita una frase del “falco” pronunciata a porte chiuse e riferita proprio a Tremonti: “dateci almeno il tempo di farla digerire ai tedeschi”.

Quando si passò dalla riforma del Trattato sul funzionamento UE alla istituzione vera e propria del MES per gli allora 17 stati dell’Eurozona, tuttavia, già eravamo nei primi mesi del governo Monti e non sapremo mai se realmente l’Italia si sarebbe opposta nel caso in cui non avesse ottenuto in cambio gli Eurobond. Tremonti lascia intendere che la caduta del governo Berlusconi per mezzo dello spread sarebbe stata conseguenza proprio della contrarietà che quell’esecutivo mostrò all’istituzione di un fondo, che nella sostanza equivaleva a un commissariamento dei bilanci nazionali ritenuti squilibrati.

Questo è il passato. Il presente ci racconta di un MES dotato di capitale per 705 miliardi, di cui 80 miliardi effettivamente versati. L’Italia ha contribuito per una quota di 14,3 miliardi e potenzialmente è chiamata a partecipare fino a 125 miliardi. All’ultimo Eurogruppo in videoconferenza si è trovata una difficile intesa tra istanze del Sud Europa e quelle del nord.

Italia e Spagna hanno ottenuto lo stanziamento di 240 miliardi di euro, pari al 2% del pil dell’area, che potranno essere erogati agli stati fino al 2% dei loro pil senza condizioni, purché utilizzati per spese sanitarie “direttamente e indirettamente” legate all’emergenza Coronavirus. L’Olanda, che insieme alla Germania ha guidato e continua a guidare il fronte dei “falchi”, ha ottenuto per contro che gli aiuti siano finalizzati e, tutto sommato, di scarsa entità.

L’ipotesi del commissariamento “leggero”

Adesso, a Roma si è aperto il dibattito se sia opportuno o meno sfruttare i 35 miliardi che ci spetterebbero, prendendoli a prestito sostanzialmente a costo quasi zero. Tenete presente che attualmente il rendimento medio ponderato dei BTp sia dell’1,35% e che supponendo che il tasso applicato sui prestiti erogati dal MES fosse nullo, risparmieremmo qualcosa come quasi 500 milioni di euro all’anno di interessi. Se questo è vero, del resto i prestiti andrebbero a gravare sullo stock di debito pubblico e quando prima o poi alla scadenza lo dovessimo rifinanziare, ci esporremmo ugualmente agli umori del mercato.

Il punto, infatti, resta un altro: all’Italia serve liquidità, ma solo marginalmente per la sanità. Le nostre emissioni nette di BTp quest’anno rischiano di esplodere fino a 180 miliardi di euro, tra calo del gettito fiscale e misure anti-crisi del governo. Non abbiamo bisogno di tutti questi 35-36 miliardi da destinare alla sanità, per cui prendendoli a prestito finiremmo per aumentare scriteriatamente il debito pubblico. Sarebbe come acquistare un ennesimo paio di jeans, pur avendo l’armadio pieno, per il semplice fatto che sia venduto a sconto. L’Italia avrà bisogno di decine e decine di miliardi per rifinanziare il suo stock in scadenza ed emettere debito netto nuovo, ma trattasi di spese generali, solo per una parte molto minoritaria legata alla sanità.

Se volessimo accedere al MES per tutte le altre voci di spesa, quindi, dovremmo sottoporci a condizionalità “light”, che sarebbero quasi certamente tali solo per il breve termine e che presupporrebbero, in ogni caso, il monitoraggio dell’istituto sui nostri conti pubblici, equivalendo a un commissariamento bello e buono.

Ma l’entità degli aiuti che saremmo costretti a chiedere sarebbe così elevata, che nei fatti il MES nemmeno disporrebbe delle risorse necessarie e si troverebbe costretto a ricapitalizzarsi per mostrarsi più solido sui mercati in fase di emissione di titoli obbligazionari. Come? Chiamando gli stati-azionisti a versare almeno parte del capitale rimanente e questo paradossalmente ci costringerebbe ad indebitarci ancora di più per contribuire. Dunque, dovremmo verosimilmente versare al MES decine di miliardi in più per ricevere aiuti dallo stesso. Un controsenso.

Conte in un vicolo cieco

Tutte le parti in causa hanno almeno qualche ragione dalla loro. Tedeschi e olandesi eccepiscono che, dopo anni di sacrifici, non sarebbe corretto elargire prestiti incondizionati ai paesi che non hanno risanato i loro bilanci. Italiani, spagnoli e francesi stanno con estrema difficoltà facendo capire ai colleghi del nord che questa crisi rischia di porre fine sul serio all’euro, perché ai popoli del sud non risulterebbe accettabile sostenere ulteriori sacrifici per pagare rendimenti più alti sui mercati, a seguito di un evento esogeno e nemmeno di natura economica. La soluzione alla crisi fiscale italiana non può arrivare dal MES, bensì dalla BCE. E sul punto restano le divergenze tra nord e sud.

Chiarezza sul MES. Anzi, resta da capire se la richiesta degli aiuti sanitari al fondo faccia scattare l’attivazione dell’OMT, il piano anti-spread di Francoforte, messo a punto da Mario Draghi nel 2012 e ad oggi inutilizzato. Grazie ad esso, la banca centrale potrebbe acquistare quantità illimitate di BTp sul mercato secondario, restringendone gli spread e comprimendone i rendimenti. Ad occhio, però, il piano non scatterebbe in assenza di condizionalità minime imposte al governo assistito. Dunque, l’Italia dovrebbe richiedere gli aiuti ordinari al MES, sottoponendosi a un commissariamento “dolce”. E al di là delle urla tra maggioranza e opposizioni, questo è diventato il vero terreno di scontro tra le parti, con Palazzo Chigi ad essere finito in un vicolo cieco, stretto tra la necessità politica di tenere fede alla parola data ai propri elettori di non richiedere aiuti al MES e quella pratica di giungere a un accordo con Bruxelles per scampare a una rovinosa tempesta finanziaria.   di Giuseppe Impone –  https://www.investireoggi.it  

 

    Redazione
  (15/04/2020)

 

 

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