Mio Padre racconta il Novecento

Teresa Armenti “Mio Padre Racconta il Novecento”. Racconti di vita quotidiana dell’amara realtà di un tempo che con troppa superficialità abbiamo dimenticato. I valori come la dignità, l’onestà, e di quella stretta di mano ricca di significati.
di Michele Luongo 

Mio Padre racconta il Novecento   Teresa Armenti “Mio Padre Racconta il Novecento”, testimonianze di vita del padre Felice Armenti, fino agli ultimi giorni di vita, quando ancora gli racconta episodi della sua adolescenza.

Siamo nel Sud Italia in Basilicata con la povertà l’amara realtà di quel tempo, e la guerra. Felice Armenti è un Uomo che attinge al grande libro della quotidianità del vivere. L’autrice lascia la voce libera, e la lettura diviene piacevole, coinvolgente, facendoci vivere gli attimi di una lunga storia, la storia di un contadino della Lucania che ha vissuto il Novecento.

La Prima Guerra Mondiale, e il piccolo Felice a due anni e mezzo vede partire il Padre chiamato alle armi e mandato in Albania. Il Padre ritorna dalla guerra sano e salvo, altri uomini di Castelsaraceno non fecero più ritorno. Della guerra, della trincea, preferiva non raccontare, restava il silenzio.

A undici dodici anni ci racconta Felice Armenti, andava a zappare la terra. A diciassette, diciotto anni, insieme ad altri giovani con gli asini e i muli si recavano a Moliterno per prendere il sale, partivano di mattina presto, cinque ore di cammino a piedi, gli asini all’andata venivano caricati con legna raccolta durante il viaggio per poi venderla, al ritorno, invece, erano carichi di sale, all’epoca il sale sembrava pietra, a casa lo si pestava.

A ventuno anni Felice riceve la cartolina precetto, la chiamata alle armi, per il servizio militare di Leva, fu mandato a Pinerolo (TO). Qui, un giorno: << C’era un venditore, che metteva nei coni una sostanza cremosa. Non sapevo che cosa fosse. Guardavo gli altri che leccavano con gusto. Cosi assaggiai il primo gelato, che era diverso dal nostro sorbetto preparato con la neve della Nivera >>.

Congedato ritorna in Basilicata. Del 1936 ricorda il periodo di lavoro per la costruzione del cimitero di Castelsaraceno, l’altro era franato. Si recava <<a prendere la sabbia all’Armizzone e la calce alla fornace, con il cavallo del podestà. Ogni dieci giorni era pagamento. Allora la giornata era a merito:8,9,10 fino a 11 lire >>.   Come pure andavano a lavorare nei campi ad esempio in giugno per mietere il grano. E ci andavano a piedi almeno due ore di cammino sia la mattina che la sera per ritornare a casa. E la raccolta del granturco che seppure stanchi, sovente la sera ballavano, cantavano, bastava poco per stare bene in compagnia.

Nel 1940 Felice Armenti è richiamato alle armi, andò sulle Alpi. Ricorda << che il 24 giugno 1940 caddero 25 cm di neve. Ci furono sei ore di fuoco continuo. Quando fu la mattina tutto era calmo, perché la guerra con la Francia era finita. Si ritirarono tutte le truppe dalla frontiera>>. Poi, il congedo e il ritorno a casa. Ma ecco una nuova cartolina di precetto, Felice parti immediatamente per Chieti, qui, l’avvisarono dell’errore del richiamo, e ritornò a casa.

Ma nel 1941 è ancora chiamato alle armi a Ortona. Poi a Trento e da qui a Taranto per sbarcare a Tripoli, a Tobruch. I segni della guerra: la malaria, l’itterizia, la sete, la fame, e i morti per le strade. Poi, la prigionia, il Campo 309 vicino al Cairo. << il campo era formato da varie gabbie tutte recintate da ferro spino>>. 

E’ un vivere dove si mete in atto l’arte di arrangiarsi. Nel 1946, finalmente, il rimpatrio, è il ritorno a Castelsaraceno. << Trovai il Paese affamato. Le persone erano smilze, camminavano con gli zoccoli, perché allora non c’erano scarpe. Io, distribuivo quello che avevo portato dalla prigionia: qualche ago, un po’ di filo, qualche spilla, perché nel paese non avevano niente. Le donne usano le coperte per cucirsi le gonne. Non c’era pane. C’era la tessera, ogni persona poteva avere duecento grammi di farina al giorno >>.

Felice Armenti è un contadino, ma soprattutto è un Uomo del Sud, che non si arrende, fa sacrifici ma è ancora pronto ad emigrare a Torino per lavorare nei boschi a fare legname. Poi, ritorna a casa, alla proprie terra, a Castelsaraceno. Trascorre il tempo con i suoi anni, cosi il suo ricordo: << Penso agli anni passati. Sono fatto vecchio e anche le viti sono invecchiate insieme a me >>.

Teresa Armenti attraverso i dialoghi con il padre ci fa vivere i momenti di quel tempo, sono racconti che hanno una straordinaria energia, invitano, invogliano a leggere, e ci rilasciano punti di riflessione.

Mio Padre racconta il Novecento, l’autrice ci fa dono della ricchezza di quel comunicare tra padre e figlia, un forziere di sacrifici, rinunce, sorrisi, dolore, silenzi, fino alle 93 stagioni di Felice, una testimonianza di vita reale, dove emergono ii grandi valori della semplicità, della dignità, dell’onestà e del rispetto.

 
Teresa Armenti “Mio padre racconta … il Novecento”
Edizioni Magister, Matera,2022
Pag.164 ISBN 9788885564626
http://www.edizionimagister.it

 

di Michele Luongo ©Riproduzione riservata
                  (18/04/2023)

 

 

 

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