Ministero della Solitudine tragicamente comico

Il Ministero della Solitudine. Riflessioni tragicomiche sulla solitudine sociale dell’epoca contemporanea. In scena cinque attori, cinque vite, cinque storie di solitudine che si sfiorano ma non entrano mai veramente in contatto, in relazione tra di loro.
di Valentina Scocca 

Ministero della Solitudine tragicamente comicoIl Ministero della Solitudine, lavoro teatrale della compagnia lacasadargilla, co-diretto da Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni, è una riflessione tragicomica su un luogo – reale e immaginario – che cerca di accogliere e gestire pulsioni, rimozioni, e proiezioni di un’epoca che combatte contro una vera e propria epidemia di Solitudine.

Fece notizia infatti qualche mese fa la decisione del capo della sanità pubblica degli Stati Uniti, Vivek Murthy, di lanciare un allarme sui gravi rischi per la salute causati dalla solitudine, parlando proprio di “epidemia di solitudine ed isolamento” – un problema che provoca ansia e depressione. Il tema non è nuovo ed è stato oggetto di numerosi studi ed iniziative anche da parte di governi, come il Regno Unito che nel 2018 istituì il Ministero della Solitudine per contrastare questo problema.

Proprio questa notizia diventa d’ispirazione per la compagnia teatrale lacasadargilla che “istituisce” il proprio ministero sul palco, dalla “natura politica sostanzialmente ambigua e tragicamente comica”: l’idea di una struttura governativa preposta a dare conforto al disagio emotivo e psicologico dei cinque protagonisti.

Attorno a questa entità istituzionale si sviluppano le storie delle figure che occupano la scena – Caterina Carpio, Tannia Garribba, Emiliano Masala, Giulia Mazzarino, Francesco Villano. Andate in scena il 19-11-2023 al Arena del Sole – Sala Leo de Berardinis di Bologna (BO)

Immagini poetiche ed esteticamente accattivanti, testo intenso e potente

Una scrittura originale collettiva dei cinque interpreti – che si definiscono un “gruppo mobile di attori, musicisti, drammaturghi e artisti visivi”, cui Fabrizio Sinisi ha dato forma drammaturgica e Marta Ciappina la struttura del movimento, costruita per immagini, ricordi, incontri, incidenti e partiture fisiche danzate che costruiscono una vera e propria drammaturgia fisica che si muove parallelamente a quella testuale. Le narrazioni vengono invertite, incrociate, mescolate tra loro, ma questi intrecci e intersezioni non convergono mai in una storia comune.

Questa sensazione di sfasamento e scollamento è chiara fin dai primi gesti e movimenti apparentemente incontrollati che affiorano nei passi con cui entrano in scena i cinque protagonisti – che in un certo senso sono già una coreografia: sono tic che spezzano il ritmo, la routine visiva e costringono a guardare sotto una nuova prospettiva i protagonisti di questa partitura della solitudine, costruita a cinque voci e cinque corpi.

Il Ministero della Solitudine per certi versi mette a nudo la società contemporanea, mostrando le fragilità e le idiosincrasie dell’essere umano ed il suo evidente bisogno di aiuto. I cinque protagonisti sono uomini e donne soli, perduti, frammentati, che si aggrappano disperatamente alle loro ossessioni, alle loro rassicuranti manie – uniche certezze nelle loro esistenze precarie e incerte.

Non è semplice trovare una strategia efficace per confrontarsi con le nevrosi e i nodi irrisolti che ingombrano la nostra psiche, incastrandoci in uno stato di malessere, tristezza ed isolamento. Una prima riflessione interessante da cui partire è che il contrario di solitudine non è compagnia: ci si può sentire soli anche stando fra tanta gente – ma senza senso di intimità e vicinanza.

C’è un disagio generale che attraversa la società contemporanea, che da una parte stimola un costante desiderio di vita e dall’altra, lo asfissia. Una solitudine “a colori”, così è stata definita dalla regista Lisa Ferlazzo Natoli, che scivola da una euforia nevrotica ad una afasia patologica e paradossale.

Lo spettacolo usa il registro dell’ironia e della leggerezza nei linguaggi e nelle rappresentazioni di personalità disturbate incarnate dagli attori, lasciandoci in una condizione di profonda ambiguità – dentro lo spettacolo ci sono due anni di lavoro che coincidono con i due anni di pandemia che hanno costretto tutti a restare confinati e isolati.

Si esce dallo spettacolo affascinati e smarriti, a tratti malinconici: ci si chiede cosa sia davvero la solitudine e resta il dubbio che possa essere tanto una conquista quanto un condanna, chissà…
( https://www.teatro.it  )

 

  di Valentina Scocca
    (27/11/2023)

 

 

 

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