La ribellione morale

La ribellione morale. La fila dei “Servitori dello Stato” che hanno dato la vita per la legalità, la sicurezza, la giustizia, è lunghissima. Nel trentennale della riforma della Polizia, a ViaCialdini l’intervista in esclusiva di Ennio Di Francesco,  promotore della Riforma. 
di   Michele Luongo 

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Ennio Di Francesco

Ennio Di Francesco, la ribellione morale. La fila dei “Servitori dello Stato” che hanno dato la vita per la legalità, la sicurezza, la giustizia, è lunghissima.

“Frammenti di Utopia”  e  “Un Commissario” sono i titoli  di suoi libri. Cosa rappresentano per lei?Confesso che non sono uno scrittore. I libri che ha citato sono stati una forse magica compensazione all’angoscia, solitudine, depressione in cui le vicende professionali mi avrebbero sprofondato. Ai due deve aggiungere Un Commissario scomodo, pubblicato nel dicembre 2009, ora in via di “indotta sparizione” per il comportamento della casa editrice.   Insomma una sorta catarsi liberatoria che ha me permesso di fare circolare memoria e conoscenza fra tante persone. Di qui anche il nostro incontro a distanza. 

Lei è stato promotore  di un evento semplicemente straordinario,  quella della “Democratizzazione della Polizia”,  ha saputo raccogliere le frustrazioni degli uomini con le divise: battaglie, sofferenze. Quale il suo pensiero? Lei ha ben definito, “straordinario” il processo di democratizzazione del “sistema sicurezza”.  Nato spontaneamente da “poliziotti carbonari” alla fine degli anni sessanta ha saputo,  resistendo a dure repressioni e sottili lusinghe, nella difficile congiuntura degli “anni di piombo”, via via coinvolgere “dalla base” opinione pubblica, forze sociali, sindacali, culturali, politiche, i partiti anche i più refrattari, a discutere “insieme”  del bene-sicurezza pubblica come servizio per la collettività e la democrazia. Per coglierne la valenza basta pensare alla storica separatezza “tutori dell’ordine-collettività”, ai braccianti uccisi a Avola e Battipaglia da polizia e carabinieri, ai pericoli corsi dalla nostra Repubblica con le stragi, i tentativi di golpe, la strategia della tensione, il terrorismo. Penso con commozione ai tanti poliziotti carbonari, arrestati, emarginati, mandati via dall’amministrazione:  eroi senza medaglie di questo processo democratico.       

Una battaglia che si conclude con la legge  121/ 1981 sulla Riforma della Polizia, eppure la strada dell’applicazione non è stata affatto facile, ancora oggi vi sono delle difficoltà. E’ così difficile avere una polizia democratica e  professionale per un moderno sistema  sicurezza?
La legge 121/81, di cui ricorre quest’anno il trentennale, è stata una conquista dura e sofferta che ha introdotto valori professionali e democratici per tutte le Forze di Polizia. Si pensi solo ai concetti “civilizzazione” del servizio sicurezza pubblica, e di “polizia di prossimità”, alla parità di ruolo tra donne e uomini, all’obbligatorietà di insegnamento della Costituzione nelle scuole di polizia, all’abolizione del divieto per cui i “tutori dell’ordine” potevano sposarsi solo dopo il 28° anno di età, alle  più dignitose condizioni di remunerazione, formazione ed impiego, alla creazione per la prima volta di un Ufficio di coordinamento e di un’unica Scuola di perfezionamento per le diverse Forze di polizia, al potenziamento delle strutture operative, tecnologiche e internazionalistiche. Purtroppo tali “valori” non sono stati pienamente attuati, anzi si manifestano  elementi di pericolosa involuzione verso il ritorno a un concetto di polizia muscolare,  con rischio di nuovo distacco dalla gente. I fatti di Napoli prima e poi del G8 di Genova, i casi Alibrandi, Sandri, Cucchi, Marrazzo, i “tutori dell’ordine” anche di alto livello inquisiti e condannati per gravi reati, i recenti casi di poliziotti e carabinieri picchiati da giovani, sono spie preoccupanti. Ciò rende ancora più grata e affettuosa la gratitudine degli italiani al lavoro  quotidiano, in sempre difficili condizioni, dei bravi e onesti “tutori dell’ordine”, che sono la stragrande maggioranza.

Carabinieri una Polizia Militarizzata. Per l’attuale società  e le future  proiezioni non è un controsenso?
Il discorso, a mio avviso, non va affrontato esasperando la contrapposizione dottrinale tra schemi “civile”-“militare”, ma attraverso il chiarimento di ruoli e responsabilità nella visione condivisa di un comune obiettivo: servire meglio la “sicurezza pubblica” che è, nei paesi democratici, un “servizio civile” per cui occorre una formazione socialmente inserita, sensibile e lungimirante verso il divenire dei processi culturali, di gestione della folla, di mediazione, di intelligence e contrasto verso ogni forma di criminalità nel nuovo contesto globalizzato. Forse è più adatta un’impostazione strutturalmente civile scevra da condizionati riflessi militari, validi per altre  essenziali competenze.  Scrive un insospettabile, Albert Einstein: “La mentalità militarista è oggi ancora più pericolosa… essa conduce necessariamente a guerre preventive”. In tutti i campi; i tempi di Bava Beccaris che caricava con l’esercito i dimostranti contro la tassa sul macinato, sono certo lontani, ma… E’ la sfida della Politica, quella vera, e dei massimi responsabili tecnici: coniugare le tradizioni ed eccellenze delle singole Forze di Polizia superando sterili ed anacronistiche competizioni ( si pensi alle tante sigle speciali, ai tanti servizi scientifici che non di rado, si ostentano e ostacolano a vicenda). Lo dice uno che è nato in una Stazione dell’Arma, da un papà sottufficiale dei carabinieri, poi morto per cause di servizio; che è stato egli stesso per anni ufficiale dei carabinieri e che ha scelto di essere “funzionario di pubblica sicurezza”, lavorando in costruttiva sinergia sino all’ultimo con splendidi ufficiali dell’Arma e delle altre Forze di Polizia.    

Esercito, tutori dell’ordine per l’immondizia. Ma questa società ha rispetto di se stessa?
Questa domanda ha in sé la risposta. Non è certo compito dell’esercito e dei “tutori dell’ordine” affrontare il problema immondizia. E’ una degenerata disfunzione regionale e locale diventata vergogna nazionale, su cui  “eccezionalmente” ( e per fortuna) si è potuto fare ricorso a risorse professionali a ben altro competenti ( peraltro sottraendole al loro vero servizio verso il Paese). Tutto ciò indica responsabilità varie, soprattutto politiche, commistione tra strutture istituzionali, rappresentative,  amministrative  e  organizzazioni criminali. Ma soprattutto esige un sussulto di coscienza del popolo napoletano, e non solo, che si è lasciato soggiogare dalle logiche perverse di una minoranza corrotta e camorrista.   

Uomini in divisa, magistrati: umiliazioni, sacrifici, dedizione fino alla morte, la politica si disperde nei circoli  viziosi e nei passaggi televisivi. Non crede che i politici chiamati a rappresentare lo Stato, debbano anche rispettarlo?
La fila dei “Servitori dello Stato” che hanno dato la vita per la legalità, la sicurezza, la giustizia, è lunghissima. Il 9 maggio si è svolta al Quirinale la “giornata della memoria delle vittime del terrorismo”. La sala era piena di centinaia di vedove e di orfani. Si aggiungano i magistrati, tutori dell’ordine, giornalisti, politici e cittadini onesti, uccisi dalla mafia, dalla criminalità organizzata e comune. Un esercito di eroi, molti tragicamente noti, altri dimenticati o mai conosciuti. Sono la memoria collettiva di questa tormentata Itala. Sappiano i politici recuperare il senso del patto sociale che hanno infranto. Lo facciano presto prima che l’ondata di disprezzo li affondi, completamente. La ribellione morale della gente e soprattutto dei giovani sta già avvenendo.    

Con lo sguardo al tempo trascorso e con l’amarezza per la sua drammatica attualità , non crede che  la lotta al consumo/spaccio di sostanze stupefacenti sia fallita ? Non ci sarà mai vittoria definitiva contro “la droga” finché l’uomo continuerà a cercare la propria felicità o a fuggire le proprie responsabilità attraverso “sostanze esterne”. Ciò tanto più in una società che ha posto al centro il consumo, anche dei sentimenti e di sé stessi. Il ciclico refrain oscillatorio “liberalizzazione o proibizionismo” è improduttivo e ideologico. Occorre agire pragmaticamente e incessantemente su tre direzioni: a) riduzione della domanda di droga, attraverso la prevenzione nelle scuole,  nelle discoteche, attraverso informazione,  sport, cultura, momenti sanamente aggregativi; b) riduzione dell’offerta di droga, cioè lotta sinergica delle polizie di tutti i paesi contro il traffico internazionale, i proventi illeciti, la corruzione e il riciclaggio, i paradisi fiscali; c) recupero medico, psicologico e sociale dei tossicodipendenti: ogni ragazzo salvato a nuova vita è un investimento di informazione e  dissuasione.     

Lei ha avuto  modo di interessarsi di Giovanni Palatucci il “Questore giusto”   che per non aver applicato le “leggi razziali”a Trieste fu torturato poi deportato e ucciso a Dachau. Nella sua semplicità un vero Uomo 
La vicenda Palatucci è emblematica della forza etica che è in ciascuno uomo a sapere  e potere trovare nella propria coscienza il limite invalicabile a leggi contrarie al rispetto della persona umana. Costi quel che costi. Un funzionario di polizia nel regime fascista che poteva ignorare, non vedere, fare carriera,  sacrifica la vita per salvare gli “ebrei”. Li sente fratelli. Ho pianto quando ho letto nei rapporti che scriveva al Capo della Polizia, frasi come questa:” Io rispondo al solo giudice insindacabile che è la mia coscienza”. Eppure dal Ministero si rispondeva ad associazioni ebraiche che ne chiedevano il riconoscimento: ” non risulta alcun elemento ne faccia emergere meriti”. Autorevoli responsabili di polizia anche di oggi dovrebbero fare un esame di coscienza. Lui certo sorride della loro ipocrisia.

La testimonianza della democrazia è una delle maggiori battaglie della quotidianità. Condivide? Certo, si esercita nelle scelte, piccole o grandi, di tutti i giorni. Oggi è ancora più necessario, urgente  e difficile, soprattutto per i giovani di cui si stanno depredando l’infanzia e le coscienze. Per questo l’impegno di ciascuno, qualsiasi  sia il proprio  ruolo, é di avere capacità di ascolto,  dare l’esempio, essere loro vicini, compensare per quanto possibile i disvalori e le verità ciarlatane che “grandi fratelli” o “cattivi maestri” inculcano  in maniera mediatica, subdola, urlata, paludata, sempre cialtrona.

L’esempio è sempre stato un elemento fondamentale in ogni Istituzione e società. Secondo lei ,oggi che “maestri” abbiamo?  Parafrasando una frase di Albert Einstein : “Il dramma dell’umanità non è che ci siano pochi a fare del male ma che la maggioranza delle persone oneste non riesce a fare unione ed opporsi” Ci  sono tantissime persone per bene che però sono ostaggio di una minoranza di caste e di cricche. Ma l’umanità progredisce. Inesorabilmente come diceva Tiziano Terzani “Una risata li sommergerà”. Prima che non sia altro.  

Ai giovani , ai poliziotti, a questa società quali sono le sue parole? Informarsi, studiare, conoscere. Attualizzerei, anche nel mondo del web, le parole di Don Milani, ai ragazzi di Barbiana: “Se conosci più vocaboli stai  alla pari e sei meglio di chi vuole essere il tuo padrone…”. Insomma essere consapevoli del miracolo meraviglioso  che è in ciascuno di noi, non permettere che altri occupino la nostra coscienza, riprendersi il ruolo che a ciascuno come persona e cittadino compete.

 

di Michele Luongo ©Riproduzione riservata
                  (05/06/2011)

 

 

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