Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez. Un vasto uso della memoria, da cui deriva una progressione temporale non lineare. Abbiamo pause, regressioni, anticipazione e accelerazioni nel ritmo narrativo.
di Iacopo Bernardini
“’Il migliore amico,’ soleva dire allora, ‘è quello che è appena morto’”. Un piccolo borgo può riassumere i tratti della solitudine? E quali sono? Cent’anni di solitudine del Premio Nobel Gabriel García Márquez, edito da Mondadori e disponibile su su ibs.it a € 8,50, sceglie un ricco ventaglio di avvenimenti, in un susseguirsi di generazioni dove passato e presente si confondono, con l’eterno riproporsi dell’uguale. Una realtà dalle note favolistiche, in cui s’alternano temi sociali quali la guerra, la lotta per il potere, la morte, la nascita. Malgrado questa superficie, tutto, nel profondo, resta sempre uguale seguendo un tempo ciclico. Dramma irrisolvibile della vita.
Cent’anni di solitudine ricorre a un vasto uso della memoria, da cui deriva una progressione temporale non lineare. Abbiamo pause, regressioni, anticipazione e accelerazioni nel ritmo narrativo. L’impressione che se ne ricava è di un’opera strutturata secondo un gioco costante di riflessi, chiave di svolta della sua originalità. “Aveva dovuto promuovere 32 guerre, e aveva dovuto violare tutti i suoi patti con la morte e rivoltarsi come un maiale nel letamaio della gloria, per scoprire con quasi quarant’anni di ritardo i privilegi della semplicità”.
Delle figure abbiamo spesso una descrizione essenziale, quasi esclusivamente correlata agli aspetti caratteriali. I nomi maschili sono così simili che producono un certo senso di confusione, completata buona parte dell’opera. Vi sono elementi di contorno, appena tratteggiati, che hanno una valenza quasi del tutto strumentale. Nel villaggio di Macondo si susseguono quattro generazioni di abitanti. La nota distintiva è l’isolamento della condizione esistenziale, prodotta dal pericolo di una vulnerabilità coincidente con tutto ciò che è esterno. Un universo chiuso che porta a caratteri fatti di una dimensione introversa e solitaria, abitata dal fallimento. “In quella Macondo dimenticata perfino dagli uccelli, dove la polvere e il caldo si erano fatti cosí tenaci che si faceva fatica a respirare, reclusi dalla solitudine e dall’amore e dalla solitudine dell’amore in una casa dove era quasi impossibile dormire per il baccano delle formiche rosse, Aureliano e Amaranta Ursula erano gli unici esseri felici, e i più felici sulla terra”.
La solitudine acquisisce quindi una funzione basilare nella caratterizzazione dell’uomo di Cent’anni di solitudine. Da una parte abbiamo la vita, alimentata da contrasti, battaglie e una profonda immobilità. Dall’altra la morte, con i defunti che tornano a far visita sulla terra in sembianze ectoplasmatiche, vicine, nella sostanza, ai nemici conosciuti in vita. Dalla solitudine s’affaccia un universo complesso e soprattutto tragico. L’immobilismo della solitudine diviene una maniera per declinare l’impossibilità del cambiamento (miglioramento). “Nella furia del suo tormento cercava inutilmente di provocare i presagi che avevano guidato la sua gioventù lungo sentieri di pericolo fino al desolato ermo della gloria”.
Troviamo infine delle lontane attinenze che dalla circolarità del tempo portano a riferimenti alchemici, esoterici, profetici. Fino a toccare questioni quali l’autodistruzione dell’uomo, del suo ambiente, la simbologia, il significato della vita e della morte. “Non gli era mai venuto in mente fino allora di pensare alla letteratura come al miglior giocattolo che si fosse inventato per burlarsi della gente”. (https://www.recensionilibri.org )
di Iacopo Bernardini
(13/02/2023)
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