Come era pieno il vicinato di una volta! La gente si prendeva il caffè, seduta sopra i gradini di fronte al sole. La vecchietta faceva la calza. Chi passava, si fermava a raccontare. I bambini giocavano in mezzo alla strada.
di Teresa Armenti
‘U VICINANZO RI NA VOTA IL VICINATO DI UNA VOLTA
Cum’era chinu ‘u vicinanzu ‘na vota!. Come era pieno il vicinato di una volta!
‘A gende si pigliava ‘u cafè La gente si prendeva il caffè
assittata sopa li scale accera ‘u sole. seduta sopra i gradini di fronte al sole.
‘A vecchiaredda facìa ‘a cavuzetta La vecchietta faceva la calza
ca spingula ‘mbetto. con la spilla in petto.
‘A zita ‘u linzulo ricamava Chi era fidanzata ricamava il lenzuolo.
‘A femmina maritata ‘u collo ra cammisa cangiava. La sposata cambiava il collo della camicia.
‘A femmina ‘nginda ‘u corredino pr’parava. La donna incinta preparava il corredino.
‘A giuvinedda iuriziosa La giovinetta giudiziosa
‘u pundagiorno s’imbarava imparava il punto a giorno.
E ‘ndramende ca cu li mani si cusìa Mentre con le mani si cuciva,
ca lenga ogni tando si tagliava. con la lingua ogni tanto si tagliava.
Chi passava, si fermava a cundà Chi passava, si fermava a raccontare
li fatti soi e quiddi ‘i l’ati i suoi fatti e quelli degli altri.
Tutto ‘i tutti si sapìa. Tutto si sapeva di tutti.
Li criaturi ‘mezza ‘a via iucavano I bambini giocavano in mezzo alla strada
‘a mmucciaredda, a cambana e a muoverè a nascondino, la campana e a muoveré.
Currìano,zumbavano, ittavano griri Correvano, saltavano, gettavano strilli all’aria.
a l’aria.
E quanno era ora ‘i mangià, Quando era ora di pranzare
‘ndramende ca camminavi, mentre camminavi,
sindivi ‘u iataturu ca carìa sentivi il soffietto che cadeva,
addore ‘i puparuli fritti l’odore di peperoni fritti
e li riscursi fatti a voce àvuta. e i discorsi fatti ad alta voce.
Putivi sapè chi c’era Potevi sapere chi c’era
‘nda l’ case senza ‘i ci trasì. nelle case senza entrarci.
Mo, sulu anguna porta è aperta. Ora solo qualche porta è aperta,
L’ robbe spase sopa a ‘nu barcone. alcuni panni sono stesi ad un balcone.
L’ scale so chiene r’èrìva Le scale sono piene di erba,
e ‘u vendo trase e esse ra padrone e il vento entra ed esce da padrone
sbattenno forte ‘na pacca ri funestra sbattendo forte un battente di finestra.
E se ti capita angunu uaio E se ti capita qualche guaio
‘ndu core ra mezzanotte nel cuore di mezzanotte
hai mende a grirà. chiedi aiuto invano.
Ti risponne sulu Ti risponde solamente
nu foglio r’alluminio arruzzinuto. un foglio di alluminio arrugginito.
‘U vicinanzo è morto. Il vicinato è morto.
Chi c’è rumasto Chi c’è rimasto
è sulo e disperato. è solo e disperato.
di Teresa Armenti
La freschezza del dialetto di Castelsaraceno la possiamo ancora ascoltare nei versi di Teresa Armenti: poeta, storica e antropologa: sue opere sul Culto Micaelico in Basilicata, sulle tradizioni civiche e agropastorali, sono leggibili sui siti Internet e presenti nelle Biblioteche.
L’accostamento alla poesia di Giacomo Leopardi: “ Il sabato del villaggio” non è poi così difficile tenuto conto delle “presenze umane” richiamate nei versi.
La forza del Cortile, cantata da Adriano Celentano nella ballata: “ Il ragazzo della via Gluck” , emerge anche qui per ricordandoci quanto abbiamo perso nella rapida corsa verso quello che oggi chiamiamo “benessere”. di Vincenzo D’Alessio
Redazione
(07/09/2018)
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