Limiti della letteratura? La vera letteratura non teme mai il rischio di rappresentare il male. Intervengono sul nuovo libro di Walter Siti, «Bruciare tutto» (Rizzoli) Massimo Onofri, Franco Cordelli, Giulio Ferroni, Lidia Ravera.
di Ida Bozzi
Limiti della letteratura? Riflessioni. La questione sollevata dal tema del romanzo di Walter Siti, Bruciare tutto, è e resta scabrosa: quali sono i limiti della letteratura? La letteratura ha confini etici oppure può occuparsi di qualsiasi cosa? Ad esempio, può un romanzo raccontare il male, portando nella pagina un protagonista che in qualche modo (e i modi sono sterminati) lo incarna, e con gradi diversi di intollerabilità? In tutti i tempi, in forme diverse, e con effetti disturbanti anche molto differenti, i romanzieri hanno posto al centro dei loro libri personaggi cattivi senza remissione: ad esempio, l’infanticida stupratore Stavrogin nei Demoni di Fjodor Dostoevkij, il serial killer Patrick Bateman in American Psycho di Bret Easton Ellis; oppure anche il nazista Max Aue ne Le benevole di Jonathan Littell. C’è un limite? Lo abbiamo chiesto ad alcuni autori e critici letterari, e le opinioni sono differenti.
«Parlando in generale, la letteratura ha i suoi limiti in se stessa — afferma il critico letterario e scrittore Massimo Onofri —. Perché l’estetica non è disconnessa dall’etica, ha una sua etica non detta e interna: se un libro riesce a consegnarci il male, questa può essere un’operazione moralmente molto nobile, più della “condanna edificante” del male stesso». L’esempio è quello di Lolita di Vladimir Nabokov, che fu accompagnato da uno scandalo senza precedenti, spiega Onofri: «Lolita fa un servizio etico, perché riesce a entrare in un personaggio negativo e ce lo spiega, quindi lo disinnesca. L’opera di conoscenza è sempre moralmente positiva: per dire, se i brigatisti avessero letto I demoni di Dostoevskij, magari avremmo avuto meno terroristi. E guai a confondere gli autori con i loro personaggi. Certo, deve essere vera letteratura. Per spiegarlo faccio un esempio invece opposto: perché Bagatelle per un massacro di Céline è invece un libro brutto? Perché non aiuta, faccio per dire, a disegnare una mappa dell’antisemitismo, non racconta la vita di un antisemita: è solo un libro antisemita, piccolissimo, angusto, asfissiante».
L’estetica contiene dunque una «sua» etica, secondo il critico, e questo aspetto è sottolineato da molti autori. «In generale, nei romanzi, sarebbe bene — interviene Franco Cordelli, critico, saggista e scrittore — che il giudizio morale fosse implicito. E occorre valutare il libro dal punto di vista estetico. Ma comunque, un giudizio morale esplicito è quanto di più alieno dalla letteratura. Non è buono scrivere qualunque libro per sostenere una tesi, a maggior ragione una tesi sommamente discutibile. Pensiamo a Lolita, che ho riletto di recente: è un libro anche profondamente ironico, e lo è anche perché l’autore prende le distanze dal personaggio, certo in modo non appariscente, ma tra il professore e Nabokov il lettore avverte una vera frattura, una frattura totale».
Tutti gli autori e i critici concordano su un fatto, nonostante la varietà e la diversa declinazione delle opinioni e delle riflessioni: il discrimine sulla letteratura è che sia vera letteratura.
«C’è pure tanta cattiva scrittura — spiega il docente e critico Giulio Ferroni — che si compiace di mostrare e di soddisfare curiosità morbose, sull’onda di certo esibizionismo radicale che domina questi tempi». Una questione che non riguarda soltanto la scrittura, ma tutte le forme di racconto, quello dei mezzi di comunicazione, televisione, social e rete compresi.
Ferroni pone alcuni distinguo ulteriori: «In generale la letteratura non ha limiti, in teoria. Poi i limiti a mio parere sono quelli di una ricerca di bene nel male. Deve mantenere l’apertura verso qualcosa di diverso: anche quando affronta i fatti più terribili, tiene dentro di sé un’apertura, uno spiraglio; dal negativo dovrebbe emergere che resistere — per parafrasare un titolo proprio di Siti — serve a qualcosa; la letteratura deve resistere alle finestre di orrore che pure ci sono: in qualche modo, per citare Umberto Saba, ogni estremo di male un bene annuncia, o meglio, dovrebbe annunciare un bene».
Limiti interni, etica nell’estetica, assenza di limiti. Che cosa ne pensa Lidia Ravera, autrice (con Marco Lombardo Radice) di un libro uscito nel 1976, Porci con le ali, che fece scandalo per l’irriverenza del linguaggio e il sesso esplicito? «Non esistono “i limiti della letteratura” — afferma Lidia Ravera —, la letteratura è limite di sé medesima, dipende non da che cosa racconta, ma da come lo racconta. Questo perché la letteratura è la ricerca della verità con le parole. E non è che noi decidiamo di scrivere un libro più che un altro: se lavoriamo bene, un libro è sempre universale».
Lidia Ravera ha appena pubblicato il nuovo romanzo, Il terzo tempo (Bompiani), che parla di «quello scandalo assoluto che è oggi essere vecchi», spiega l’autrice. E conclude: «Può darsi che un libro faccia scandalo e ogni epoca ha i suoi scandali. Ma la letteratura va giudicata solamente con il metro della letteratura. Qualsiasi altro metro è illegittimo». ( http://www.corriere.it/ )
di Ida Bozzi
(26/06/2017)
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