10 + 1 cose che (forse) non sai sull’italiano. Quante persone parlano italiano al mondo? Qual è la prima testimonianza scritta della nostra lingua? Che si intende per neoitaliano? E ancora… per uno straniero è facile impararlo? 11 curiosità sull’italiano.
di Eugenio Spagnuolo
L’italiano che impariamo a scuola è considerato Italiano standard, ma è sicuramente più diffuso quello neostandard o di uso medio, colloquiale, e non sempre rispettoso delle regole di grammatica.
L’Italiano è la ventunesima lingua la mondo per numero di parlanti: i madrelingua sono circa 63 milioni, secondo le stime del sito Ethnologue. Eppure, nonostante sia meno diffusa dell’urdu e del tamil, è considerata una delle lingua più importanti al mondo per questioni culturali, perché milioni di persone la parlano come seconda lingua (migranti, figli e nipoti di italiani residenti all’estero, ecc) e per il suo impatto sul commercio e l’industria globale. Ma cosa sappiamo dell’italiano? Ecco alcune curiosità…
1. È vero che l’italiano deriva dal latino, ma non dal latino classico che si studia a scuola, quanto dal latino volgare, più vicino a quello plebeo dell’epoca repubblicana, parlato da soldati, contadini e abitanti delle province romane. In latino classico per esempio testa si dice caput. Testam, da cui la parola deriva, era invece il vaso di terracotta: il termine potrebbe essere stato usato in tono scherzoso nel latino volgare per indicare la testa (di coccio). Da qui la preferenza di testam rispetto a caput nell’italiano.
2. Dalla contaminazione tra il latino volgare con le lingue degli invasori (longobardi, franchi, goti) deriva il volgare, dalla cui (lunga) evoluzione nascerà l’italiano. Tra i primi a ritenere che il volgare dovesse sostituire il latino c’era Dante Alighieri, che alla questione dedicò un’opera: il De vulgari eloquentia (1303-1305).
3. Il più antico documento in italiano? È un atto notarile: il Placito Capuano del 960, dove appaiono alcune formule in volgare in un testo quasi interamente in latino. Ma la più antica testimonianza d’italiano scritto è un’iscrizione sul muro nelle Catacombe di Commodilla (in via delle Sette Chiese a Roma), che risalirebbe al VI-IX secolo: un invito a non dire i segreti a voce alta (probabilmente l’invito di un religioso ai suoi colleghi a recitare le orazioni a bassa voce).
4. In Italia si parlano così tanti dialetti che secondo l’Enciclopedia Treccani è persino difficile contarli. Per comodità gli studiosi dividono l’Italia in tre grandi aree dialettali: la linea La Spezia-Rimini separa quella settentrionale da quella centrale, che è sua volta divisa dall’area meridionale dalla linea Roma-Ancona. I linguisti definiscono italiano popolare l’italiano di chi ha per madrelingua il dialetto e ha acquisito la lingua nazionale in modo imperfetto.
5. Ci sono poi le lingue territoriali, da cui discendono i vari dialetti. Sempre secondo il sito Ethnologue, la più diffusa è il napoletano con 5,7 milioni di parlanti. Seguono il siciliano (4,7 milioni di parlanti), il veneto (3,8 milioni), il lombardo (3,6 milioni), il piemontese (1,6 milioni). La meno parlata è invece il croato, in Molise (1.000 persone).
6. Alla fondazione del Regno d’Italia, nel 1861, l’80% degli italiani era analfabeta e solo l’8,9 per mille della popolazione aveva un’istruzione superiore alla scuola elementare. Esattamente cento anni dopo, nel 1961, gli analfabeti erano meno del 9%. E nel 1971, la cifra si era ridotta a poco più del 5% della popolazione italiana. Nel 2001, secondo l’Istat, gli italiani analfabeti erano “solo” il 2%.
7. Secondo il linguista Tullio De Mauro, a contribuire all’unificazione linguistica dalla fondazione del Regno d’Italia in avanti non è stata solo la scuola, ma diversi fattori: la stampa, l’emigrazione, la burocrazia, l’esercito (col servizio militare obbligatorio per esempio) l’urbanizzazione. E anche la guerra fece la sua parte: i soldati al fronte erano costretti a parlare italiano per capirsi. Poi sono arrivate la radio e la tv…
8. L’italiano che impariamo a scuola è considerato Italiano standard, ma è sicuramente più diffuso quello neostandard o di uso medio, colloquiale, e non sempre rispettoso delle regole di grammatica (prevede per esempio la sostituzione del congiuntivo con l’imperfetto in alcuni casi).
9. Nel 1964, PierPaolo Pasolini paventò la nascita di un nuovo italiano (neoitaliano), basato sulla semplificazione sintattica, la perdita di molti riferimenti latini e l’uso di molti termini tecnologici. Era il frutto – secondo lui – dell’egemonia della cultura borghese e industriale del Nord Italia, dove avevano sede le grandi fabbriche: l’italiano infarcito di anglicismi (marketing, target, ecc) sarebbe secondo alcuni studiosi un’evoluzione del neoitaliano di Pasolini.
10. A preoccupare gli italianisti più del neoitaliano sono però le lacune di grammatica e sintassi che affliggerebbero persino gli studenti delle superiori e dell’Università. In questi casi si parla di italiano selvaggio (la definizione è del linguista Francesco Bruni).
11. Quanto è difficile imparare l’italiano (per uno straniero)? “In italiano – avverte la BBC – si legge come si scrive e la parola scritta è simile a come suona. La pronuncia è chiara, con ogni vocale enunciata chiaramente e l’intonazione cantilenante che rende i suoni più facili da identificare. Il vocabolario è simile ad altre lingue di origine latina. I sostantivi possono essere maschili o femminili e, di conseguenza, gli aggettivi devono concordare con loro. Ci sono sei desinenze per ogni tempo verbale. Anche se alcuni aspetti della lingua possono sembrare difficili all’inizio, basta afferrare alcune semplici regole per essere in grado di comunicare in una varietà di situazioni”. ( www.focus.it )
di Eugenio Spagnuolo
(31/10/2015)
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