Spunti di un’apologetica platonica. Se nel dialogo de moribus si prolunga ancora un eco della civile speculazione del primo umanesimo, qui ormai si obbedisce all’invito picchiano.
Redazione
Giovanni Pico, esorbita, con le sue indagini, dal piano in cui si era posto il platonismo ficiniano. La stessa sua dimestichezza con la Scolastica, apertamente confessata, arricchiva il suo pensiero dei motivi più vari . In un punto, tuttavia, il gruppo savonaroliano, con cui il Pico si venne legando sempre più, s’incontrava con i ficiniani fino a confondersi con essi : in una profonda esigenza religiosa. Se percorriamo gli scritti filosofici del domenicano di San Marco, non vi troviamo che i motivi tradizionali del tomismo. Ma ai fiorentini egli apparve profeta, in quell’ansia di rinnovamento e di riforma, che aveva accompagnato l’umanesimo nascente. E soprattutto quanto parve fallire l’azione umana e terrestre, e un desiderio di miracoli, ed i mistici annunzi, e di totali palingenesi si diffuse largamente.
Lo stesso Pico dette a tutte le sue opere, e alla sua vita medesima, il tono di un appello. L’amico suo, il ficiniano Nesi, vide nel Savonarola un novello Socrate ( << philosophiam, quae de moribus agit, diutius exulantem revocavit in urbem, civitatique restituit >>), che dell’antico aveva la divina ispirazione, il demone guida, e la missione riformatrice.
Il secolo nuovo sta per spuntare, il mondo muterà politicamente , ma soprattutto spiritualmente: << Mahumethanos ad Christianam fidem, vobis adhuc viventibus, adsciscendos. Ovile tandem omnium unum, pastorem unum >> . Così nel 97. Circa un decennio prima, con frondosità barocca, aveva tratto dalla letteratura ermetica e platonica, messa in circolo dal Ficino, un’orazione de charitate culminante nell’invito commosso all’unione mistica con Dio. << Io finalmente l’amante ne l’amato, e l’amato ne l’amante converto. Il primo perché, morendo l’amante in se, vive ne l’amato. Il secondo perché, riconoscendosi l’amato ne l’amante, ne l’amante ama se medesimo, dove amando se ama l’amante già in amato converso >>.
Se nel dialogo de moribus si prolunga ancora un eco della civile speculazione del primo umanesimo, qui ormai si obbedisce all’invito picchiano: evolemus ad Patrem . Là, nella pax unifica, sarà valido il tema proposto dal Poliziano: Tibi silentium laus !
Girolamo Benivieni trasferiva sul piano religioso le sue effusioni d’amore, e nel commento alle sue liriche riduceva in termini di entusiasmo cristiano la prosa giovanile del Pico. L’11 aprile 1484 Giovanni Mercurio da Correggio aveva predicato per le vie di Roma una renovatio ermetica, che Ludovico Lazzarelli, poeta filosofo, celebrò come opera di mirabile nuovo profeta.
Nel 1488 Ermete Trismegisto era effigiato a mosaico nel Duomo di Siena. Egidio da Viterbo, dal 1517 cardinale della Chiesa di Roma, vedeva nel trionfo della teologia platonica il ritorno dell’età dell’oro ( << Hec sunt, mi Marsili, Saturnia regna, hec toties a Sybilla et vatibus etas aurea decantata >>) , e su basi neo platoniche e cabalistiche costruiva una apologetica platonica ( << propono platonicas questiones contra Peripateticos >> destinata a prolungarsi fino al Concilio di Trento attraverso l’opera del cardinal Seripando.
Se dalla scuola del Valla agli studi ebraici del Pico la filologia umanistica, operando sul terreno scritturale, preparava una grande offensiva critica; se la << teologia platonica >> sboccando nella mistica unione con Dio nel segreto dell’anima costituiva il prologo di tanta parte della più fervida religiosità cinquecentesca, e giustificando le varie religioni annunciava l’ideale della tolleranza; Savonarola, impegnato a creare in terra una città umana degna dell’uomo, segnava col suo rogo del 98, il fallimento sul terreno pratico anche di non piccola parte del programma umanistico.
…. tratto dal libro “L’umanesimo italiano” ( Filosofia e vita civile nel rinascimento ) di Eugenio Garin ed. Mondadori – 1993
Redazione
(16/03/2015)
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