Sottotraccia della Russia eterna

Ma c’è una bella differenza se lo straniero è entrato in patria d immigrato e non da invasore, col cappello in mano o la green card e non al seguito della Grande Armèe napoleonica e dei Panzer di Hitler. 
di Maurizio Serra

 

Un paio di anni or sono m capitò di tenere un seminario per un gruppo di studenti russi di scienze politiche, tutti sui vent’anni, quindi cresciuti dopo la fine dell’Unione Sovietica, tutti preparati, ricettivi e molto simpatici, figli senza complessi del loro tempo; ragion per cui mi venne spontaneo congratularmi, a cena nell’albergo di Caserta che ci ospitava, per la vittoria appena conseguita da una loro giovane tennista, rivelazione del torneo di Wimbledon. Non l’avessi mai fatto. Intorno al tavolo cadde un silenzio più pesante della … bufala di mozzarella che ci era stata servita, “Non è russa”, tagliò netto il capocorso, improvvisamente sulla difensiva. “ Ma come, non è russa? Sarà pure cresciuta in America, ma è russa di padre, madre, nazionalità, fino ai sospiri che esala in russo ad ogni colpo di racchetta …” “Non è russa”, ribatté una studentessa, che sembrava la gemella della campionessa, entrambe con occhi pervinca e treccine  bionde su di un copro statuario, due bellezze che più russe di così non si potrebbe immaginare. Provai a insistere, ma non ci fu verso e dovetti arrendermi. Dopo di che, ricominciamo a ridere e scherzare e la serata fini con l’immancabile bevuta di Falanghina contraffatta, in mancanza di vodka doc.

L’aneddoto vale per quel che vale, ma mi è tornato in mente leggendo questa seconda, avvincente puntata degli Imperi di Alberto Pasolini Zanelli. Perché una delle costanti delle sue riflessioni intorno alla nuova Russia è proprio la permanenza, la continuità sottotraccia della Russia eterna, quella che, grazie alla guerra e ai venti milioni di morti, riuscì perfino a travestirsi credibilmente agli occhi del mondo d piangente madre bolscevica. E i presupposti della Russia eterna – quella in cui, dice l’ottocentesco poeta Tyutchev, con una citazione tanto abusata quanto spesso travisata, “bisogna solo credere” – possono ridursi schematicamente a due: la compattezza nazional-popolare di fronte allo straniero, quasi sempre portatore di calamità, e la convinzione di poter esistere ( e resistere) ai marosi della storia solo in quanto grande potenza.

Si dirà, scomodando questa volta Tocqueville, che sono i presupposti su cui si fonda anche la religione civile degli Stati Uniti. Ma c’è una bella differenza se lo straniero è entrato in patria d immigrato e non da invasore, col cappello in mano o la green card e non al seguito della Grande Armèe napoleonica e dei Panzer di Hitler. E c’è un’altra bella differenza, se la consapevolezza di essere grande potenza non è mai stato rimessa in discussione, anzi canonizzata in dottrina dell’unilateralismo trionfante dopo la caduta del muro di Berlino e ancor più dopo l’11 settembre. La Russia eterna ha invece conosciuto un quindicennio di lacerante crisi identitaria, che solo i parvenus del capitalismo selvaggio ( forse neppure loro) potevano mascherare a colpi di vestiti firmati, paradisi fiscali e squadre di calcio comprate all’estero…

 … dalla prefazione di Maurizio Serra al libro “IMPERI II” di Alberto Pasolini Zanelli, Ed. Sette colori, Lamezia tereme, 2007, Pag. 310 Euro 18,00,  ISBN 978-88-902367-2-8

 

   Redazione
(06/03/2015)

 

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