La storia della Lingua italiana. L’italiano lingua letteraria A differenza di altre lingue di cultura, l’italiano è stato per secoli una lingua principalmente scritta, basata sul modello della letteratura fiorentina.
Redazione
Storia della Lingua italiana. Grazie alle opere di tre grandi scrittori del Trecento – Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio – il fiorentino ha avuto da subito un grande prestigio. In un’Italia divisa in molti stati e molti dialetti, la lingua dei grandi autori fiorentini è stata uno dei primi fattori di unità: per lungo tempo, chi imparava a scrivere, a Napoli come a Milano, aveva sul tavolo le loro opere; la stessa grammatica italiana è stata codificata, nel Cinquecento, prendendo a modello quella lingua.
In questo modo, il fiorentino letterario del Trecento è diventato la base della lingua italiana. Una lingua che, per secoli, la maggioranza degli italiani ha usato solo per scrivere e imparato quasi come una lingua straniera: attraverso le grammatiche, i vocabolari, la lettura dei classici della letteratura.
Solo dopo l’unità politica ( 1861), grazie alla diffusione della scuola obbligatoria in tutta la penisola e poi alla radio e alla televisione, l’italiano è diventato anche una lingua adatta alla comunicazione di tutti i giorni.
Le tre corone: Dante, Petrarca e Boccaccio
Nel Trecento, dalla penna di tre scrittori fiorentini sono nati tre capolavori decisivi per la storia della lingua e della letteratura italiana: la Commedia ( poi detta Divina) di Dante Alighieri, i Rerum vulgarium fragmenta di Francesco Petrarca ( più noti come canzoniere) e il Decameron di Giovanni Boccaccio. Un poema d’argomento sacro, una raccolta di poesie di tema amoroso e una raccolta di novelle in prosa: opere molto diverse tra loro che mostrano, oltre al valore letterario, una stupefacente maturità linguistica.
La grande varietà di toni della Commedia, lo stile puro e delicato del Canzoniere, la prosa solenne e il dialogo vivace del Decameron mostrano le potenzialità espressive del fiorentino antico.
Grazie alla straordinaria fortuna di questi autori ( le cosiddette “ Tre Corone”), la lingua di Firenze si impone all’attenzione di tutti i letterati.
Le prime grammatiche
La lingua italiana ha una impronta letteraria anche a causa delle scelte fatte dai grammatici del passato. La prima grammatica italiana ad essere stampata, le Regole della volgar lingua di Fortunio( 1516 ), descrive gli usi linguistici di Dante, Petrarca e Boccaccio, secondo anche delle Prose della volgar lingua ( 1525 ) di Pietro Bembo, uno dei libri più importanti del Rinascimento. In modo più autorevole e maturo rispetto a Fortunio, Bembo ragionerà sulla grammatica all’interno del più ampio problema della letteratura: distinguendo una lingua per la poesia e una lingua per la prosa; indicando precisi modelli stilistici da imitare ( Tetrarca in poesia; Boccaccia in prosa).
La proposta di Bembo avrà grande successo. Scrittori come Ariosto o Castiglione riscriveranno le loro opere secondo le nuove regole dettate da Bembo. Il risultato sarà la definitiva affermazione del fiorentino trecentesco come base dell’italiano.
Le correzioni di due grandi scrittori del Rinascimento
Nel Cinquecento, l’affermarsi del modello linguistico del fiorentino trecentesco comportò, soprattutto per gli autori non toscani, una intensa attività di revisione linguistica dei propri testi.
Al tempo i problemi grammaticali erano rilevanti anche nella stesura di opere destinate a divenire dei classici della letteratura: l’autografo del celebre Cortegiano di Baldassare Castiglione ( 1478 – 1529 ) e quello dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto ( 1483 – 1540 ).
Entrambi questi scrittori – seppure in modo differente – si trovarono a dover fare i conti con la norma codificata da Bembo: Castiglione, lombardo, dopo aver preparato varie stesure del suo capolavoro, lo farà correggere a uno revisore per adeguarlo alla norma grammaticale bembiana in vista della pubblicazione; Ariosto, emiliano, darà alle stampe ben tre edizioni del suo Orlando Furioso ( 1516 , 1521, 1532 ), progressivamente avvicinandosi al fiorentino trecentesco attraverso un lungo percorso di revisione.
La riforma linguistica di Alessandro Manzoni
La storia dei classici della letteratura italiana mostra come la lingua sia stata, nel passato, uno dei principali problemi da risolvere: se nel Cinquecento, Ariosto lavora per adeguare la sua lingua al fiorentino letterario, nell’Ottocento il milanese Alessandro Manzoni corregge per anni i suoi “Promessi sposi” alla ricerca di una lingua non letteraria e artificiosa ma capace di riprodurre sulla pagina la spontaneità del parlato.
Dopo aver scritto, nel 1821, una prima versione in una lingua ricca di elementi differenti(latinismi,parole regionali,ecc.), Manzoni decide di uniformare il suo stile al toscano. Essendo milanese, come tutti i non toscani, si basa sui libri: legge opere letterarie e riempie di annotazioni la sua copia del Vocabolario della Crusca.
Nel 1825 – 27 pubblica il romanzo n questa nuova versione. Nonostante il grande successo, Manzoni giudica però lo stile ancora insufficiente, perché troppo letterario. Per ottenere una lingua , cioè spontanea, sceglie come modello da imitare il fiorentino parlato dalle persone colte.
Grazie anche ai consigli di amici e conoscenti fiorentini, Manzoni comincia così un nuovo percorso di revisione che porta all’edizione definitiva del romanzo ( 1840 – 1842 ).
Questo lavoro di autocorrezione ha avuto conseguenze notevoli nella storia dell’italiano; non solo per la prosa letteraria, ma anche per la lingua comune. I “Promessi sposi” ebbero uno straordinario successo e furono ben presto usati come modello di stile nelle scuole.
La lingua del romanzo è stata un concreto esempio di scrittura moderna e colloquiale che ha, per molti aspetti, influenzato in profondità la fisionomia attuale dell’italiano .
Tra la lingua letteraria e lingua quotidiana: il novecento
Nel Novecento la letteratura lascia progressivamente ad altri mezzi ( la radio,la televisione) il compito di modellare e diffondere l’italiano. Le carte degli scrittori testimoniano tuttavia come la ricerca di una lingua più flessibile e autonoma dalla tradizione sia ancora un problema non del tutto risolto.
La poesia del Novecento rompe con secoli di tradizione letteraria; la prosa si apre agli influssi della letteratura americana. La maggiore libertà verso i modelli tradizionali permette una pluralità di stili e di esperienze letterarie. Inoltre, nell’Ottocento la lingua era ancora un obiettivo da raggiungere partendo da dialetto; un secolo dopo, gli scrittori possono cercare forme più originali di modulare una lingua ormai comune.
Le carte degli scrittori testimoniano bene queste ricerche: la stesura autografa di una celebre poesia di Eugenio Montale ci fa vedere il minuto lavoro di ricerca di una lingua esatta e scarna; gli appunti di Italo Calvino ci mostrano il lavoro che sta dietro alla prosa cristallina di uno dei grandi scrittori del secondo Novecento.
L’italiano parlato: una conquista recente
A differenza dell’italiano scritto, l’uso di un italiano parlato comune è una conquista abbastanza recente e soltanto negli ultimi decenni del Novecento la sua diffusione ha raggiunto tutte le regioni della penisola. Ancora nel 1861, quando viene proclamato il Regno d’ Italia, non più del 10% della popolazione era in grado di parlare in italiano e ben il 75% era analfabeta: solo i letterati scrivevano in italiano, ma più o meno tutti parlavano in dialetto ( o meglio nei tanti dialetti della penisola).
Con l’Unità d’Italia comincia un lento processo di unificazione linguistica, affidato soprattutto alla scuola e ad altri importanti canali, come la letteratura di consumo ( giornali, fotoromanzi, fumetti) e, più recentemente, i mezzi di comunicazione di massa ( soprattutto quelli : radio, televisione, cinema).
La lingua nazionale oggi è diffusa in tutte le classi sociali e in tutte le aree del paese. Proprio per questa sua grande estensione, però, il suo uso risente delle differenze geografiche e accoglie inflessioni e modi regionali o dialettali, soprattutto nelle situazioni informali o familiari.
Il cinema riflette sulla lingua
Uno dei più importanti mezzi grazie ai quali diversi strati della popolazione sono entrati in contatto con la lingua italiana è stato, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, il cinema.
Ad essere efficace per la diffusione dell’italiano non è stato soltanto il modello costituito dalla lingua dei personaggi ( o da quella, davvero impeccabile del doppiaggio dei film stranieri ). Molte volte quello che ha inciso maggiormente sulla coscienza linguistica collettiva è stato il fatto che alcuni tratti linguistici venivano messi in ridicolo per ottenere un effetto comico. A volte si tratta di modi pomposi o antiquati ( basta pensare ai vari “fa d’uopo o quisquilie di Totò”); altre volte – al contrario – di errori molto comuni, commessi soprattutto dai parlanti meno acculturati ( emblematico, in questo caso il “ vadì ” di Fantozzi ). Il cinema, insomma, riflette la lingua della propria epoca, ma spesso riflette anche sulla lingua e sui suoi meccanismi: riderci sopra è stato, in certi casi, il modo migliore per esorcizzare vizi e vezzi linguistici.
L’italiano e le altre lingue
Nel corso della sua storia, l’italiano è stato arricchito da molte parole ed espressioni giunte da altre lingue grazie a contatti di vario genere ( guerre, dominazioni, scambio commerciali, circolazione di testi letterari ).
Nella storia dell’italiano, il maggior numero di parole è venuto dalla Francia. Per tutto il Medioevo il francese e il provenzale hanno influenzato le varie parlate italiane e anche nei secoli successivi il francese è rimasto la principale fonte di parole straniere. L’afflusso è stato particolarmente forte tra al fine del Seicento e la fine del Settecento ( tanto che si parlava di , cioè di mania per le parole e le mode , francesi ), ma non ha mai smesso di farsi sentire fino alla prima metà del Novecento. Una parte importante hanno avuto anche l’arabo – in epoca medioevale – e lo spagnolo, specie nel periodo che va dalla scoperta dell’America alla prima metà del Seicento; molto minore, nel tempo, è stato l’influsso del tedesco.
Ma la presenza di gran lunga più significativa nell’italiano attuale è quella dell’inglese. Dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi, il numero di parole inglesi è aumentato con un ritmo sempre più rapido: di quelle attualmente in uso, un quarto sono entrate tra il 1950 e il 1975, più della metà negli ultimi trent’anni.
Il gallicismo dei primi secoli
Dalle due lingue allora parlate in Francia ( la Gallia dei romani ), l’antico francese ( langue d’oil ) e il provenzale ( langue d’oc ) durante il Medioevo giungono in Italia molte parole destinate a rimanere nel vocabolario di base, come bugia, magiare, pensiero, speranza.
Già dal IX secolo, molti nobili franchi si stabiliscono in Italia al seguito di Carlo Magno, diffondendo i loro usi e costumi e – naturalmente – la loro lingua. Lo stesso faranno più tardi, nel Meridione e in Sicilia, i Normanni e poi gli Angioini. Ma i gallicismi arrivano anche seguendo altre strade: insieme ai pellegrini in cammino per Roma, ai giullari in cerca di ospitalità, ai crociati di passaggio per la Terra Santa, al continuo passaggio di mercanti.
C’è, inoltre, la grande fortuna della letteratura francese e di quella provenzale, già ricche di capolavori: mentre i giullari portano per l’Italia le chansons de geste e il ciclo delle leggende di re Artù , il modello della lirica amorosa dei trovatori spinge anche molti poeti italiani a scrivere in provenzale.
Gli spagnolismi tra Cinquecento e Seicento
Quando la Spagna di Carlo V diventa lo stato più potente d’Europa e conquista circa metà del territorio italiano, lo spagnolo vive – in Italia, così come nel resto del continente – il suo momento di massimo prestigio. Tra Cinquecento e Seicento entrano in italiano quasi mille spagnolismi, molti dei quali destinati a uscire presto dall’uso.
Le parole spagnole sono diffuse dai tanti nobili che abitano le corti di Napoli, Roma, Ferrara, Mantova, Urbino e Milano ( così, ad esempio, baciamano e complimento ). In genere vengono dai settori che più risentano della supremazia spagnola, come la vita militare ( ronda, recluta ) o la navigazione ( baia, flotta ) .
La straordinaria risonanza della scoperta dell’America decreta il grande successo dei libri che raccontano i viaggio nel Nuovo Mondo. Grazie a quelle cronache, si diffondono in Europa e in Italia – quasi sempre attraverso lo spagnolo – i nomi esotici della novità del nuovo continente ( mais, cacao, patata, tabacco, caimano ) .
La moda francesizzante nel Settecento
Gli anni che vanno dalla metà del Seicento alla fine del Settecento sono quelli della , la sfrenata ammirazione ( e quindi imitazione ) di tutto ciò che sia francese.
La Francia, prima potenza politica, primeggia in Europa un po’ in tutti i campi: nella letteratura e nella filosofia ( belle arti, libertinaggio, manierismo, scetticismo, il nuovo significato di lumi nell’espressione civiltà dei lumi ) , ma anche nell’abbigliamento ( cravatta, parrucchiere, tuppè ), nella gastronomia ( bignè, liquore, ragù ), nell’arredamento ( ammobiliare, tappezzare, toilette, sofà). Il francese è la lingua dei salotti mondani: nella vita di società l’uomo deve mostrarsi brillante e di spirito; la donna sensibile e adorabile, come richiedeva la moda ( tutti francesismi diffusi in quel periodo ). Facile, allora, per gli scrittori dell’epoca mettere in caricatura i giovanotti alla moda, che mangiano cibi come gattò, cotolette, canàr , sambòn, e pronunciano complimenti sdolcinati come .
L’anglicismo nel secondo dopoguerra
Dalla fine della seconda guerra mondiale, in uno scenario internazionale profondamente mutato, il francese smette di essere la lingua straniera più diffusa in Italia ( e in Europa ) ed è sostituito dall’Inglese.
L’american way of life invade tutti i settori della vita quotidiana: dallo sport allo spettacolo, dalla moda alla pubblicità, dalle scienze alla tecnologia. Attraverso i mezzi di comunicazione di massa ( il cinema, la radio, la televisione ) entra in italiano una quantità sempre maggiore di anglicismi.
C’è lo star system di Hollywood ( cast , musical, thriller ) e il mito ribelle del rock ; c’è l’economia del manager , del marketing e degli sponsor ; c’è la lingua dei computer e quella di Internet: il web, l’e-mail, le chat . E negli ultimi tempi ci si è messa anche la politica : bipartisan, moral suasion, question time .
Ma l’italiano non è ancora diventato o : le parole inglesi non adattate ( cioè non assimilate nella forma all’italiano ) sono circa il 2% del vocabolario complessivo ( lo 0,5% di quello di base ).
L’Italiano fuori d’Italia
Così come tante parole straniere hanno arricchito la lingua italiana, l’italiano ha prestato alle altre lingue molte parole ed espressioni. Le voci italiane più diffuse appartengono ai settori in cui l’Italia ha avuto nel tempo maggiore prestigio: arte della navigazione, commercio, letteratura, arte,musica. Il periodo di massima espansione è stato quello del Rinascimento e dei due secoli successivi, quando l’Italia ha rappresentato uno dei poli essenziali della cultura europea.
Naturalmente, come accade anche ai prestiti provenienti da altre lingue, molte di queste parole di origine italiana sono a poco a poco uscite d’uso. Altre invece sono vive ancora oggi e sono un piccolo segno della tradizione culturale italiana all’estero.
Negli ultimi anni l’italiano attraversa nuovamente un momento di grande favore nel mondo, sia per l’attrazione verso la grande tradizione culturale del passato sia per la nuova immagine dell’Italia nei settori della moda, del design, della cucina.
Inoltre, sempre più spesso cittadini stranieri vengono in Italia per motivi di lavoro, e l’italiano è per chi arriva uno strumento necessario e una garanzia per la futura integrazione nel paese.
Il Medioevo: la navigazione, la mercatura e la finanza
Nel Medioevo le Repubbliche Marinare ( Amalfi, Genova, Pisa, Venezia ) hanno dominato a lungo il Mediterraneo. Per questo motivo molte parole della navigazione, sono nelle lingue europee , di origine italiana. Da Venezia si sono diffusi nelle lingue balcaniche ( e anche in alcuni paesi arabi) termini come admiral nel serbo e nel croato.
I mercanti italiani dell’epoca erano celebri per il loro spirito d’iniziativa; perciò non è strano se molti termini europei del commercio sono di origine italiana. Parole come banca, valuta, fallire, cassa, conto, costo, tariffa, si sono diffuse, specie fra Duecento e Cinquecento, in molte lingue europee. Vale lo stesso anche per molte monete: ilfiorino – coniato in oro a Firenze nel 1252 – è diventato presto la moneta più stabile e più conosciuto del mondo medievale ( quasi come il dollaro oggi ) e ha data origine, a molte zone d’Europa, a monete con lo stesso nome: fiorino lucchese, savoiardo, bernese, del Reno, di Anversa, di Boemia, di Lorena.
Il Rinascimento : la letteratura e le arti
Fin dal Medioevo le opere di Dante, Petrarca, e Boccaccio, tradotte nelle principali lingue europee, influenzano le letterature straniere. Ma è soprattutto dalla fine del Quattrocento e per tutto il Cinquecento che l’Italia del Rinascimento rappresenta, nell’immaginario collettivo europeo, la culla della letteratura e dell’arte. Le opere di scrittori come Macchiavelli , Castiglione, Ariosto e Tasso sono alla base della cultura e della concezione dell’uomo che si andava formando allora in Europa e portano con se parole chiave come cortigiano . Inoltre, le forme poetiche della tradizione letteraria italiana, penetrando nelle altre letterature, trasmettono anche i loro nomi ( sonetto, poesia maccheronica ). Il modello che avrà la diffusione più ampia è quello della poesia petrarchesca, che per quasi tre secoli sarà il punto di riferimento della poesia d’amore occidentale.
Anche in campo artistico l’Italia vive un momento di grande fortuna, soprattutto durante il Rinascimento, quando fioriscono personalità del calibro di Michelangelo, Raffaello, Leonardo, Tiziano. Il prestigio dell’architettura e della pittura italiana fa circolare in molte lingue termini come facciata, piedistallo, fresco , balcone. Le Vite dei gradi artisti scritte da Giorgio Vasari ( 1550 ), segnano la nascita della trattatistica d’arte, un genere letterario tipicamente italiano.
L’ italiano lingua per musica
Già nel Cinquecento si diffonde l’immagine dell’italiano come lingua armoniosa e dal suono dolce, particolarmente adatta alla poesia amorosa e alla conversazione elegante, e dunque bagaglio indispensabile di una buona educazione. Poco a poco l’italiano si afferma anche come lingua della seduzione: nel Seicento, per esempio, in molte versioni europee del racconto biblico della tentazione di Adamo, Eva, il diavolo o il serpente parlano italiano.
Alcuni aspetti dell’italiano ( come la grande abbondanza di vocali e la semplificazione dei gruppi di due o più consonanti del latino ) rendevano la lingua molto cantabile: la sua musicalità, a volte molto apprezzata, altre volte giudicata come effeminata , è ancora oggi la caratteristica più conosciuta dell’italiano all’estero.
In particolare tra il Sette e Ottocento quando musicisti e librettisti italiani soggiornavano nelle principali corti dell’’Europa, molti compositori stranieri scelsero libretti in italiano per l’opera lirica. E l’italiano è stato utilizzato per lungo tempo anche per le indicazioni a margine degli spartiti ( andante, allegro, adagio) e per i nomi di molte composizioni e di strumenti musicali.
L’italiano e gli italiani all’estero
La diffusione moderna dell’italiano all’estero è legata principalmente ai grandi flussi di emigrazione del XIX e del XX secolo ( soprattutto negli Stati Uniti, Canada, in America Latina, in Australia, in Germania, in Francia) e alle richieste di studio da parte degli emigrati italiani di seconda e terza generazione.
L’italiano è presente, inoltre, nei paesi nei quali è lingua ufficiale ( Città del Vaticano, San Marino, Svizzera ) o altrove in conseguenza di fatti storici ( mantenimento di contatti con le ex-colonie italiane in Africa, obbligo dell’italiano nelle scuole, per esempio a Malta fino al 1934 e in Argentina fino al 1941), di atti governativi ( politiche di scambi culturali), della presenza di una tradizione di studi umanistici ( conservatori di musica, accademie d’arte), senza contare l’incidenza più difficile da valutare, di fenomeni di moda e di costume ( come il grande successo di film e spettacoli italiani o la diffusione della televisione italiana in molti paesi che si affacciano sul mediterraneo).
Un nuovo impulso allo studio dell’italiano si deve, più di recente, a motivi di lavoro, sia da parte di stranieri che vogliono stabilirsi in Italia, sia da parte di persone che lavorano in aziende italiane nei paesi stranieri.
La Società Dante Alighieri – Comitato di Bolzano
“ Dove il sì suona” Una mostra sulla lingua italiana
Mostra dal 12 maggio al 09 giugno 2006
Bolzano Centro Culturale TREVI
Redazione
(13/05/2006)
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