I morti non valgono, se sono cristiani. Non c’è identificazione, non c’è senso di condivisione; di quei massacri la gente parla poco, ritenendoli lontani, e non è un caso che gli appelli di Papa Francesco cadano nel vuoto.
di Marcello Foa
Sì i morti non valgono, se sono cristiani, nemmeno se si contano a centinaia o a migliaia. La mia non è una provocazione ma un’amara constatazione. Negli ultimi mesi c’è stata una recrudescenza degli attacchi terroristici in Medio Oriente e nel Nord Africa, documentata puntualmente da ilgiornale.it. Nell’Irak dove, ai tempi di Saddam, i cristiani vivevano in pace, oggi vengono massacrati o costretti alla fuga. Idem in Libia, in Nigeria, idem in Kenya, come vediamo in queste ore dove – se i resoconti sono veritieri – i terroristi hanno effettuato una vera e propria selezione religiosa nel campus universitario, risparmiando la vita agli islamici, uccidendo o sequestrando i cristiani. Roba da nazisti.
La notize che apprendiamo sono terrificanti al punto che parlare di sterminio non è esagerato. Eppure ho l’impressione, leggendo i siti internazionali e percependo gli umori anche alle nostre latitudini, che queste morti e queste atrocità non facciano davvero notizia. Sì, il titolo, anche grande, si pubblica, almeno in Italia, altrove nemmeno con risalto (su Le Monde i fatti in Kenya non erano nemmeno di apertura); però a mancare è il coinvolgimento emotivo, come se si trattasse di fatti a noi lontani.
Non c’è identificazione, non c’è senso di condivisione; di quei massacri la gente parla poco, ritenendoli lontani, e non è un caso che gli appelli di Papa Francesco cadano nel vuoto. Le nostre società hanno giustificato la guerra al terrorismo in nome della difesa delle comuni radici giudaico-cristiane e dei valori della nostra società aperta, democratica, libera; ma nella realtà dei fatti quelle radici sono già recise, il che testimonia una delle schizofrenie identitarie della nostra epoca, nella quale la religione, la famiglia, l’appartenenza nazionale, la sovranità democratica, sono stati progressivamente svuotati di senso. L’etichetta resta: siamo tutti nominalmente italiani o svizzeri o francesi e cattolici o protestanti o ortodossi, in genere europei e occidentali ma a quell’etichetta non corrisponde più la sostanza, che è evaporata rendendo la nostra identità sempre più vaga, informe, prevalentemente linguistica; in ultima analisi anonima e passiva. Siamo una massa informe incapace di preservare la propria biodiversità culturale. E il fatto che quasi nessuno se ne preoccupi, come se si trattasse di un’ineluttabilità dei tempi, rende la constatazione ancora più amara e inquietante.
E nemmeno gli orrori dell’estremismo islamista sono sufficienti a scuoterci dal torpore, a farci prendere coscienza della nostra decadenza civile, della nostra informità morale. ( www.ilgiornale.it )
di Marcello Foa
(07/04/2015)
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