La trappola della sceneggiata. Le intercettazioni devono servire a indagare, non a nutrire i processi. Perché questo vuole lo spettacolo, la sceneggiata.
di Davide Giacalone
Roma – La giustizia è caduta nella trappola della sceneggiata. Mario Merola, dominatore del genere, raccontava che alla fine della rappresentazione il “cattivo”, ‘o malamente, usciva anticipatamente dal teatro e non raccoglieva gli applausi del pubblico, perché c’era il rischio che lo picchiassero. Forse esagerava, o forse no, comunque è un caso di fraintendimento fra recita e realtà. Nel caso del presunto scontro fra magistratura e politiche di governo sta andando in scena qualche cosa di simile.
Da una parte si recita lo scontro, il cui copione ha previsto prima l’accorciamento delle ferie e poi la responsabilità civile. Ricordate le dichiarazioni burbere, sul fatto che erano inammissibili vacanze di 45 giorni? E ricordate le risposte offese? Bon: il testo che accorcia le ferie è sbagliato, sicché le ferie restano quelle di prima. Lo scontro sulla responsabilità civile, sull’attentato alla serenità dei magistrati, sul proditorio attacco ai loro stipendi, è stato così acceso e duro da indurre il dubbio anche fra i più smagati. Che facciano sul serio? Così abbiamo letto e riletto, senza riuscire a cogliere la folgorante novità: a decidere sulla responsabilità dei magistrati sono e saranno dei loro colleghi. Cosa che osserva anche il professor Giovanni Fiandaca, il quale ricorda come le stesse identiche cose si dissero quando (1988) fu approvata la legge Vassalli. Innocua. E cosa talmente ovvia che Eugenio Scalfari ha potuto scrivere, non smentito, che sul testo era concorde anche l’Associazione nazionale magistrati (che è un sindacato, non un’istituzione). Ma, allora, perché tanto strillare? Perché questo vuole lo spettacolo, la sceneggiata.
Intanto, però, si consegnano alla magistratura poteri sempre più vasti. Che non sono (nel qual caso plaudirei) la premessa di una più forte giustizia, ma i cascami della sua devastazione. Tre esempi.
Primo: la prescrizione. Tale principio, risalente al diritto romano, non tutela i colpevoli, ma ciascun cittadino, affermando che lo Stato non ha il diritto di tenerlo indefinitamente sotto inchiesta o processo, senza neanche essere capace di condannarlo. La piaga italiana sono processi troppo lunghi, allungarne i tempi potenziali non è un rimedio, ma una resa. Dicono al popolo, presunto bue: serve per condannare i colpevoli. Falso: serve per continuare a non far rispettare il diritto e i diritti, quindi ad accettare che la giustizia sia malagiustizia. (Ricordo, tra parentesi, a quelli che sono sempre pronti a dire che in un luogo mitico, denominato “estero”, le cose vanno diversamente che i francesi non ci restituirono un assassino, Cesare Battisti, perché colà era andato in prescrizione l’omicidio, che da noi non si prescrive mai). Del resto, che volete, è normale che (non) ragionino così in un mondo fantastico in cui ci è stato comunicato che si sono chiuse ora le indagini sulla scomparsa di Ettore Majorana (adulto dileguatosi nel 1938).
Secondo esempio: le intercettazioni telefoniche. Oramai non essere intercettati dovrebbe indurre il dubbio di non essere in vita. Le registrazioni vengono diffuse anni prima dei processi. C’è il caso di un presunto assassino, nei cui confronti il processo non è neanche alle viste, la cui colpevolezza si vuole sia provata dalle intercettazioni ambientali fatte in carcere (!). Ora vogliono potere intercettare anche per il falso in bilancio. Che è un reato grave, da punirsi con severità. Che, però, non ha neanche senso perseguire se si tratta di società molto piccole, di possibili errori o di somme proporzionalmente (al giro d’affare) minime. Ma mentre s’immaginava (era Natale) di porre delle soglie al di sotto delle quale la procedura penale neanche partiva, ora si suppone di potere intercettare per poi innescarla. Dicono: male non fare, paura non avere. Giusto, infatti lascerei totale libertà d’intercettazione, ma solo come strumento d’indagine, non di prova. Le intercettazioni devono servire a indagare, non a nutrire i processi. Invece vogliono che siano prove, da rendere pubbliche, talché il più pulito avrà sempre qualche cosa per cui essere sventrato.
Terzo: il cantonismo. Da Raffaele Cantone. Mi hanno colpito i suoi rilievi sulle concessioni autostradali, che tanto sono piaciute a taluni oppositori del governo. Lui stesso se ne è compiaciuto: non guardiamo in faccia nessuno. Bravo, ma, senza entrare nel merito, come si fa a non vedere che questo procedere fonda un ulteriore potere, potenzialmente antagonista di altri, ma privo sia di legittimazione democratica che di fondamento giurisdizionale? Serve a combattere la corruzione, rispondono. No, corrompe il diritto. Tanto che fioriscono soggetti da teatro dell’assurdo: magistrati nominati assessori alla legalità. Concime per l’arbitrio.
Riassumendo: da una parte lo scontro teatrale, dall’altra il cedimento reale. La trappola della sceneggiata. ( www.davidegiacalone.it )
di Davide Giacalone
(07/03/2015)
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