Politica dei fatti con risposte chiare, l’esempio della regione Veneto. Poi gli ambiziosi incapaci che vivono per il loro ego e non risolvono e non affrontano i problemi anzi li creano.
di Flavio Bertolini
Politica dei fatti al vuoto delle parole. Nei tempi di crisi sempre più strategico diventa il tema della gestione del ruolo all’interno delle organizzazioni. La necessità di risolvere problemi, velocemente, cercando le soluzioni più utili per raggiungere gli obiettivi, rappresenta una delle competenze di maggior bisogno. Questo vale in ogni contesto, sia aziendale che burocratico. In questo secondo caso, proprio per la sua forma organizzativa, i tempi e i modi sono molto più lenti e complicati. Vien da dire che la burocrazia è un sistema incapace di correggersi, anche se il problema si può vedere da un altro punto di vista, e cioè che solo la politica può riformare la burocrazia.
Quindi è sta nella volontà dell’organo politico il compito di attuare quelle riforme che permettano quanto meno di iniziare un percorso di cambiamento. E siamo al tasto dolente, ovvero nella capacità decisionale di chi deve porre in essere dei miglioramenti strutturali.
Where’s the will, there’s the way, come dicono gli americani, solo quando si è mentalizzato che il cambiamento non è solo necessario, ma l’unica via per risolvere i problemi, allora può esserci un metodo di lavoro.
Assistiamo inerti in questi giorni duri per tutti a delle situazioni inconcepibili per una normale mente pensante, dalla difficoltà di accedere a finanziamenti, la scarcerazione di mafiosi, il problema sbarchi, la lentezza non solo delle procedure, ma anche di una strategia condivisa che sia la più opportuna per affrontare la crisi economica e la politica sanitaria.
Il comune cittadino non riesce a capire perché debba subire questa impreparazione, quando a lui viene chiesta la rigidità nell’eseguire norme e comportamenti.
Politica dei fatti al vuoto delle parole . Ogni persona che ha l’onore di rivestire una carica, deve essere consapevole del ruolo che ha, e non vivere del proprio ego e della propria ambizione.
Di ambiziosi incapaci è pieno il mondo, e, se per situazioni di normale gestione, non è fondamentale garantire competenze specifiche consolidate, questa mancanza nel proprio profilo professionale, non è tollerata in situazioni di vera emergenza, in cui la velocità di decisione e di fornire risposte, fa sicuramente la differenza.
Il caso del governatore del Veneto, Luca Zaia, può essere un esempio a tutti visibile. Difronte ad una medesima emergenza, la risposta non è stata la stessa, e i risultati sono stati diversi. Ma in questo contesto quelli che ci hanno rimesso sono le vite dei cittadini, che in Veneto hanno ottenuto risposte ed evitato una strage di vite umane. E non è da dimenticare.
Quante volte vediamo nello sport, che una squadra cambiando allenatore, cambia totalmente il suo gioco e i risultati? Bisogna prendere atto, che non tutti sono nati per essere dei leader autorevoli e illuminati, non tutti hanno la capacità di capire, decidere e dare le migliori soluzioni, e dispendersi per il bene comune e non per il proprio interesse.
C’è l’ambizione, che spinge ad andare oltre i propri limiti, con i risultati di trovarsi spesso a dover gestire situazioni senza averne le competenze.
Ci domandiamo, quando porto la macchina dal meccanico, mi aspetto che la macchina venga riparata e mi garantisca il suo uso in maniera sicura. Allora perché non posso pretendere questo difronte al lavoro di un politico, o un amministratore, di poter cioè fare affidamento su una persona che abbia qualcosa in più, che riesca a gestire meglio di un comune cittadino impegnato nella sua vita, le questioni pubbliche in genere?
Gli ambiziosi incapaci sono il nodo da sciogliere della società italiana, finché ci troveremo davanti personaggi che vivono del potere che si sono conquistati, e causano danni invece che risolvere problemi, ogni sforzo del comune cittadino può avere un valore eroico, ma si dimostra spesso quasi inutile.
Fare bene le cose che non servono è uno degli sport preferito di molti italiani, e della classe dirigente. Che senso ha non affrontare i problemi strutturali e risolverli, per spendersi su questioni di secondo piano, che hanno una ricaduta pressoché inutile sul cambiamento sociale e sulla possibilità di sviluppo?
Ora c’è bisogno di passare dalle parole degli “esperti” e dei giornalisti, ai fatti concreti che solo la decisione politica può garantire. E non c’è più tempo per aspettare Godot, altrimenti si crea povertà unita alla già diffusa miseria. E non solo povertà economica, ma sconforto e mancanza di stimoli a provarci e dare il meglio di Sé. Se gli intellettuali o le élite, hanno ancora un senso, questo dovrebbero fare, dare una prospettiva di valori e prevedere prima degli altri i rischi di un degrado sociale nella professionalità di chi è chiamato a governare i processi di cambiamento.
Una vicenda come le scarcerazioni dei boss mafiosi è lo specchio di un sistema, che non riesce nemmeno a proteggersi da se stesso. E sembra che il mondo della cultura non si renda conto di quanto stia accadendo, forse perché assorto a cercare di capire ancora dove sia l’origine del tracollo sociale ed economico. O forse perché limitato nella sua funzione meramente accademica, che deve rispondere a logiche ideologiche e non ad un pensiero libero. L’ancorarsi a valori fondanti una storia e un popolo sono la garanzia della sua valorizzazione. Il dimenticare il proprio passato è invece l’anticamera della perdita delle proprie radici. Questo per abbracciare valori imposti da un cosmopolitismo creato ad hoc da poteri sovranazionali.
Quello che c’è in gioco è la storia di un popolo che rischia di venir sostituito, e nel suo futuro potrà solo ricordare un passato da protagonista non solo a livello culturale.
Forse la classe politica dirigente dovrebbe capire che non c’è rinascita se non valorizzando le eccellenze e non usando gli ambiziosi che vivono tentando di essere all’altezza e usando il loro potere per il proprio interesse.
di Flavio Bertolini
(08/05/2020)
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