Tre punti, Banca d’Italia considerazioni finali

Tre punti per le considerazioni finali dell’assembla della Banca d’Italia. Trasparenza e informazioni ai clienti,  bail-in, spazzare via ogni equivoco. E’ in ritardo del fondo di garanzia europeo. 
di Davide Giacalone

Tre punti in cui si possono dire cose significative. Martedì prossimo, il 31 maggio, come ogni anno, il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, leggerà le “considerazioni finali”, prima di chiudere l’assemblea della banca centrale. Sarà l’occasione per fare il punto sia sui conti italiani che sulla situazione delle nostre banche, anche in relazione alla nuova normativa sulle risoluzioni (ovvero i fallimenti, bail-in), che Visco ha già detto si dovrebbe cambiare. 

Sui conti non ci si può certo aspettare che il governatore sia più severo di quanto non sia stata la Commissione europea. Ma mentre l’organismo dell’Unione è impegnato a tenere assieme i conti di tutti i paesi aderenti, quindi a non forzare posizioni critiche, come è anche (non solo) la nostra, noi italiani abbiamo un interesse diverso: dirci le cose come stanno e chiederci se si sta facendo il necessario, o almeno l’indispensabile, per non ritrovarci nuovamente nel mirino di un attacco speculativo.

La paura del 2011, con i dolori che comportò, sembra lontana, ma non lo è. Allora rimediammo in gran emergenza, aumentando la pressione fiscale. Ricetta autolesionista. Non sarebbero fuor di luogo, quindi, alcune autorevoli riflessioni sul taglio della spesa pubblica, che non può essere evitata o posticipata, nel frattempo vendendo patrimonio pubblico per lasciare intatta la montagna del debito e oltre i limiti il deficit che contribuisce a renderla meno scalabile. Credo il governatore abbia l’opportunità, ma anche il dovere, di avvertire che la conquistata “elasticità” non è un rimedio, ma un mero rinvio. Costoso. 

Sul tema del bail-in, invece, si deve spazzare via ogni equivoco. Non farlo significherebbe solidificare un’incertezza e reclamare una specificità nazionale, che ha già prodotto molti guasti. Oltre tutto coinvolgendo le autorità di vigilanza nella responsabilità, quanto meno storica, delle crisi latenti. La direttiva è stata adottata dopo lunga discussione, con il consenso dell’Italia (come di tutti gli altri). E’ stata recepita in legge in ritardo, nel novembre scorso, ma è ora parte del nostro ordinamento. Supporre di cambiarla radicalmente è irrealistico. Inoltre è inopportuno, perché non contiene solo le misure da adottarsi in caso di fallimenti, ma anche le condotte per evitarli.

Su tre punti, però, si possono dire cose significative. Il primo è il ritardo del fondo di garanzia europeo. Sappiamo bene che taluni, e segnatamente i tedeschi, si oppongono perché vedono un legame troppo stretto fra il rischio delle singole banche e quello dei debiti pubblici esagerati. Il che ci riporta al tema del debito. Non hanno torto, ma occorre far osservare che questo era noto anche prima, quando lo spazio bancario europeo è stato costruito. Supporre di andare avanti con regole comuni, ma senza comuni sistemi d’intervento, significa continuare a commettere sempre lo stesso errore: lasciare incompiute le istituzioni europee, finendo con il far apparire negativo quel che è positivo. Una volta tanto siamo noi a potere dire: pacta sunt servanda, i patti vanno rispettati. Quel fondo deve decollare al più presto.

Il secondo punto è relativo all’informazione dei clienti, i cittadini. Si è cercato di elaborare messaggi che siano chiari e, visto che la vigilanza è divenuta europea, di fornire indici univoci. Uno di questi, quello che maggiormente viene diffuso, è il Cet1 (common equity tier 1). A dispetto del nome è un concetto semplice: al numeratore il capitale e al denominatore i rischi. La percentuale che ne deriva dà un’indicazione della solidità (non è l’unica, ma la più facile). Tanto è vero che chi ha un indice alto non perde occasione di ricordarlo, anche nella propria promozione pubblicitaria. C’è un problema: se la banca dove ho messo i soldi non ne parla e io cliente chiedo, sentendomi rispondere con un numero che è alle soglie dell’accettabilità mi allarmo. Magari decido di ritirare i depositi, che sono garantiti fino a 100mila euro, ma, insomma, anche i 60mila meglio tenerli dove non faranno fatica a restituirmeli. Messa in questo modo quell’indice potrebbe innescare le crisi, anziché prevenirle. Informare bene, pertanto, è un dovere, ma anche un modo per evitare guai. Siccome non c’è una collettiva certezza circa la trasparenza dell’informazione che arriva dalle banche, di questo dovrebbe incaricarsi chi riscuote maggiore fiducia.

Il terzo punto ha a che vedere con i crediti deteriorati: il fondo Atlante è potuto intervenire in aumenti di capitale, ma non ha energia sufficiente per affrontare quel problema. O si trova una soluzione interna (bad bank privata) o, meglio, europea. Altrimenti è zavorra che impiomba. (www.davidegiacalone.it )

 

  di Davide GIacalone
    (30/05/2016)

 

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