Lettera aperta di Umberto Cosmo, titolare di Bellenda, ai redattori delle guide vini. Da quest’anno abbiamo deciso di non inviare più i nostri vini alle guide. Ritengo che le modalità attuali con cui si arriva a formulare un giudizio sui vini italiani siano una liturgia vecchia e stantia.
Redazione
Un contributo all’evoluzione della critica enologica italiana. Alcuni redattori di guide ci hanno telefonato per sapere come mai non hanno trovato i nostri vini tra quelli in degustazione. La nostra risposta: “da quest’anno abbiamo deciso di non inviare più i nostri vini alle guide”. Vi spiego il perché.
Lettera aperta di Umberto Cosmo, titolare di Bellenda, ai redattori delle guide vini.
È sempre molto difficile affrontare il tema della cosiddetta critica enologica o, molto più chiaramente, dei giudizi che, in particolare le guide enologiche, danno ai nostri vini. Qualsiasi cosa si dica rischia in qualche misura di essere interpretata nella maniera sbagliata. Ma il timore di essere male interpretato non mi ha mai frenato, nella convinzione che sia sempre prioritario essere sé stessi, autentici e per questo ho sempre scelto la via del non nascondermi mai anche su temi “spinosi” come quello, appunto, della critica enologica.
Ritengo che oggi sia quanto mai opportuno affrontare, con coraggio e traspa-renza, il tema di come costruire insieme un nuovo approccio alla critica enologica nel nostro Paese. E scrivo insieme perché ritengo che non si possa delegare in toto ai responsabili delle guide, ad esempio, la costruzione di un modello di critica enologica più adeguato da un lato a far conoscere la straordinaria biodiversità viti-enologica del nostro Paese e dall’altro di individuare le eccellenze nel mare incredibile dei nostri innumerevoli terroir vitivinicoli.
Per questa ragione non voglio assolutamente sfuggire al giudizio, anche se non mi riconosco nel modello attuale, ma voglio provare a dare il mio punto di vista e, senza nessuna presunzione, dare un contributo per modificare modelli che hanno fatto il loro tempo.
Ritengo che le modalità attuali con cui si arriva a formulare un giudizio sui vini italiani siano una liturgia vecchia e stantia, essendo basata sul modello della degustazione comparata che, a mio parere, è da considerare obsoleto.
È inattuale il confrontare più prodotti in una sorta di linea di montaggio del giudizio, ove il momento metafisico della comparazione crea inevitabilmente un modello ideale che costringe sia chi produce che chi giudica in una gabbia innaturale di schemi e preconcetti, slegati dal fondamentale fatto che il vino dipende dalla natura e dall’uomo insieme, quell’uomo-produttore che agisce non più in base a dettami enologici codificati ma in una libertà data finalmente dalla sua comprensione che il vino deve essere espressione della modernità, ove la modernità è intesa come la coscienza di essere parte di un sistema in divenire continuo.
Oggi che il vino si sta liberando da prigioni mentali, oggi che i produttori hanno preso coscienza che essi stessi sono e devono essere in costante evoluzione a causa del mutare continuo della materia prima che essi trasformano e che mai è uguale, oggi che la stessa uva può avere destini diversi a seconda di chi ci metta mano: oggi è il momento di dire basta all’obsoleta liturgia delle guide basate sulla comparazione. Batterie di decine e decine di vini che costringono i degustatori a tour de force inevitabilmente privi di significato, con proclami in copertina in cui si dichiarano “millemila” vini degustati per giungere a dichiarare corone, bottiglie, tralci, bicchieri.
Non ci si accorge che il fruitore di queste pubblicazioni pieni di sapere enologico è oramai una razza in via di estinzione? Non ci si è resi conto quanto nel frattempo siano cambiati i consumatori, a partire dagli stessi appassionati e come siano finite, fortunatamente, le tendenze dominanti e vi sia un approccio da parte di tutti molto più laico e libero da dogmi.
Anche dal nostro osservatorio di produttori ci rendiamo sempre più conto come i nostri clienti attuano le loro scelte in una modalità molto diversa rispetto al passato senza più quella dipendenza dalle cosiddette “guide”. Le fonti di informazioni ora sono molto più vaste e disparate. Essi vanno direttamente alla fonte, seguono il passaparola, vengono ai banchi di assaggio aperti al pubblico, vengono sempre più spesso in cantina.
Sì, perché oggi le cantine più sagge e avvedute, non sono più luoghi misteriosi ove è vietato entrare: i “misteri” non sono p0ùù tali poiché noi stessi artefici del vino siamo cambiati e siamo aperti, desiderosi di condividere i nostri supposti segreti. Questo però, sia chiaro, non significa che non sia più utile la critica enologica, tutt’altro ma per essere credibile, autorevole e attuale deve mettersi inevitabil-mente in discussione confrontandosi con trasparenza e coraggio anche con il mondo dei produttori e anche, soprattutto, con i consumatori finali, magari coinvolgendo di più dei panel di giovani o sfruttando la dinamicità della rete per raccogliere le opinioni più disparate. Non credo che questo andrebbe a minare l’autorevolezza di coloro che riteniamo critici preparati, ma forse farebbe pulizia di quella pletora di pseudo-guru, non conoscenti e pieni di sé, che mina alla base ogni possibilità di corretta informazione.
Ecco perché, a mio parere, bisogna avere finalmente il coraggio di cambiare, e questo non solo per il bene di chi realizza, con fatica innegabile, le guide attuali, ma per il bene di tutta la nostra filiera, compreso il consumatore finale. ( www.bellenda.it )
Redazione
(02/10/2017)
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