La scienza ci aiuterà a fare il vino del futuro. In venti gocce di vino 100 milioni di cellule. I vignaioli italiani dovrebbero puntare sempre di più sulla biodiversità che hanno a disposizione, e che non ha confronti.
di Pierangelo Soldavini
A otto anni i genitori portarono Donato in gita in Monferrato e lui si trovò a correre tra i filari di un vigneto, scoprendo i grappoli d’uva: «Quella forma geometrica e immaginifica, espressione della grandezza della natura e del territorio: è stato un momento magico, è lì che ho deciso che da grande avrei voluto lavorare con quegli acini», ricorda oggi Donato Lanati. Che tra quei filari e quelle colline è tornato dieci anni fa, dopo aver imparato a conoscere ogni segreto racchiuso in quell’acino e aver creato e affinato centinaia di vini, dall’Italia all’Argentina e al Brasile fino alla Georgia caucasica, laddove la vite è stata addomesticata più di 8mila anni fa.
In venti gocce di vino 100 milioni di cellule
Lanati è oggi una “enostar”, tra i candidati di Wine Enthusiast come miglior enologo del mondo e insignito quest’anno dell’Oscar del vino. La base della sua conoscenza è dentro Enosis Meraviglia, la tenuta creata dieci anni fa sulle colline di Fubine, nel Monferrato alessandrino, e diventata un vero e proprio laboratorio del vino, un luogo dove chimici e biologi analizzano centinaia di acini provenienti dalle tenute di tutta Italia, per capire che vino ne potrà uscire. Nei vigneti attorno a cascina Meraviglia sono coltivati una quarantina di vitigni, tutti quelli presenti in Italia, cui si aggiungono acini in arrivo da ogni regione italiana, e non solo. «L’acino è un meraviglioso laboratorio biodinamico che racchiude il lavoro dell’uomo, la qualità del territorio, il dna della vite e la stagione – spiega Lanati -: è per quello che bisogna conoscerne ogni dettaglio per comprendere come poterne estrarre al meglio le potenzialità perdendo il meno possibile di quella ricchezza e creare dei vini di qualità». In un centimetro cubo di vino, pari a circa venti gocce, ci sono circa cento milioni di cellule, che durante la fermentazione alcolica trasformano gli zuccheri in alcool e il mosto in vino.
Enosis
A differenza di una tradizione enologica come quella francese, l’Italia del vino nasce da una miriade di prodotti fatti dai singoli contadini, spesso incuranti della qualità. Oggi il nostro paese ha fatto enormi progressi sulla strada della qualità e dell’affinamento. «Il vino del futuro – sintetizza Lanati – sarà frutto di una grande conoscenza: finora ci siamo arrivati con l’esperienza, ora bisogna studiare le molecole, comprendere fino in fondo quali sono i fenomeni e i meccanismi che portano a quell’armonia di profumi, aromi e colori che fanno un vino di qualità, una qualità che oggi si può misurare scientificamente».
Alla scoperta dei segreti dell’acino
È quello che Lanati fa a Enosis, il laboratorio nato 25 anni fa e che da dieci anni ha trovato casa stabile a Fubine, in uno splendido casale attorniato dal meglio dei vitigni autoctoni nazionali. È qui che si cerca di fare luce su quell’incredibile laboratorio che è l’acino: «La conoscenza ci permette di far esprimere al meglio le potenzialità della materia prima, senza però aggiungere nulla», spiega Lanati.
Conoscenza vuol dire, per esempio, che i produttori di Nebbiolo portano i campioni della loro vendemmia per capire come comportarsi, se decidere di investire sull’annata puntando a trasformarla in Barolo oppure se fermarsi a un buon Nebbiolo. Il Barolo, re dei vini italiani, nasce infatti dal Nebbiolo dopo un invecchiamento di almeno cinque anni: i coratenoidi presenti nel vino si trasformano in norisoprenoidi che danno l’aroma inconfondibile del Barolo. Ma – avverte Lanati – oggi possiamo essere in grado di sapere preventivamente se la vendemmia potrà trasformarsi in maniera adeguata. E questo diventa un innegabile vantaggio per il produttore.
Genesis, il robot che fa il vino
Il team di Enosis, il “luogo in cui si parla di vino”, ha messo anche a punto un robot che “fa il vino”. Genesis, una sorta di tino a tre gambe che non sfigurerebbe nella saga di Guerre Stellari, decide infatti quando far entrare in campo, nel corso della macerazione, le beta-glucosidasi, gli enzimi che tagliano i legami tra le molecole di glucosio dell’acino. Siccome le molecole quando sono libere dal glucosio sprigionano al meglio le loro caratteristiche organolettiche, più si ritarda il processo e più duraturo sarà il risultato in termini di aromi e profumi. Genesis decide proprio quando avviare il processo, integrando o separando bucce e mosto, sulla base della qualità dell’uva.
L’esperienza del vino è per sua natura multisensoriale, coinvolgendo tutti i cinque sensi: il primo impatto è il colore, ma, prima del gusto, l’effetto più evocativo è dato dal movimento dei profumi che si scatena nel bicchiere. Lanati si è così dilettato anche a inventare un suo bicchiere da degustazione, denominato Anello di Saturno, proprio perché ha una sorta di “pancia-anello” che corre attorno al bicchiere per permettere ai profumi dei vini più nobili di rimanere il più possibile all’interno della coppa.
La conoscenza è quindi la piattaforma per proseguire verso nuovi traguardi. Per continuare a crescere i vignaioli italiani dovrebbero puntare sempre di più sulla biodiversità che hanno a disposizione, e che non ha confronti: «La nostra forza – si accalora Lanati – sta nelle 500 varietà autoctone, che sono il vero fattore vincente: abbiamo una cultura, una storia e una curiosità che altri non hanno. L’importante è non cadere nell’omologazione». Perché il vantaggio sta proprio nell’esclusività di questo patrimonio: in nessun altro luogo le varietà italiane raggiungono il livello di qualità che si ottiene qui. La vera ricchezza è l’irripetibile sinergia che si instaura tra vitigno e territorio. Che deve emergere ed esprimersi all’interno del bicchiere. ( http://food24.ilsole24ore.com )
di Pierangelo Soldavini
(05/08/2015)
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